Circa 1.000 edifici residenziali sarebbero stati distrutti a Kharkiv, seconda città ucraina. Foto Twitter @GiovaQuez
Si compie formalmente oggi 24 marzo un mese esatto dall’invasione russa dell’Ucraina. Le truppe di Putin sono in difficoltà. La guerra lampo “operazione militare speciale in aiuto del Donbass” è sempre più sanguinosa: il conflitto si sta cronicizzando.
Non ci sono segnali di una rapida conclusione delle ostilità, piuttosto di un loro possibile allargamento ad altri paesi. La Russia avrebbe già usato armi termobariche, bombe al fosforo e i missili ipersonici Kinzhal. Ha attaccato anche centrali nucleari, a Chernobyl e nella regione di Zaporizhzhia. L’Ucraina – solo 44 milioni di abitanti contro i 144 milioni della Russia, la nazione più estesa della Terra – nelle previsioni di Vladimir Putin avrebbe potuto cedere in pochi giorni. Ma i piani si sono ribaltati. E il presidente russo ha fatto arrestare nei giorni scorsi alcuni capi dei servizi segreti dell’FSB, rei di non aver fornito adeguate informazioni sul nemico. In sostanza colpevoli, agli occhi dello ‘zar’, di averlo ingannato.
In Russia le sanzioni occidentali fanno male: molte aziende straniere si ritirano da Mosca e San Pietroburgo, alcune merci cominciano a mancare. Decine di migliaia di russi stanno scappando verso la Finlandia e altri paesi confinanti. Di ieri, inoltre, la notizia che l’inviato della Russia all’Onu per il clima, Anatoly Chubais, ha rassegnato le sue dimissioni e ha lasciato il paese, affermando di essere contrario alla guerra contro l’Ucraina. Chubais, architetto delle riforme post-comuniste negli Anni Novanta, fra i primi mentori politici di Putin, è il più alto funzionario dello Stato ad aver pubblicamente voltato le spalle al presidente russo dall’inizio del conflitto.
Malgrado il vasto consenso popolare che ancora esisterebbe attorno a Putin in Russia, analisti e osservatori occidentali ritengono che il capo del Cremlino viva in un crescente isolamento. Fra timori di avvelenamenti e la paranoia non solo di perdere il potere ma di fare la fine di Muammar Gheddafi. Il dittatore della Libia, brutalmente seviziato e assassinato nel 2011, a seguito delle rivolte popolari sostenute dall’Occidente.
Lo scenario di guerra, in Ucraina, non consente alla Russia di dirsi vincitrice, né ottimista. In un mese di invasione le maggiori città dell’Ucraina sono sotto le bombe: molte sotto assedio. Il comico che stravinse le presidenziali del 2019, Volodymyr Zelensky, si è rivelato un combattente. Secondo Kiev sono 15.600 i militari russi uccisi. La stessa Komsomolskaya Pravda, stampa filogovernativa russa, aveva pubblicato la notizia, poi rimossa, di circa 10mila soldati russi morti. Sarebbero inoltre, sempre secondo Kiev, centinaia gli aerei, elicotteri e carri armati russi distrutti. Né in Occidente né a Mosca si era prevista una resistenza all’invasore così coriacea, anche da parte della popolazione civile. Sebbene non manchino cittadini ucraini che si nascondono per non dover combattere, a fronte del diktat governativo che prevede la coscrizione obbligatoria degli uomini dai 18 ai 60 anni.
Il conflitto si caratterizza per attacchi indiscriminati russi contro i civili, morti e feriti a migliaia, e la distruzione sistematica di scuole, case, ospedali, biblioteche. Migliaia sono i morti militari dall’una e dall’altra parte. Non mancano attacchi sanguinosi ai civili da parte ucraina nelle autoproclamate repubbliche filorusse di Lugansk e Donetsk.
L’invasione russa ha costretto alla fuga 3,5 milioni di profughi, già arrivati nel resto d’Europa. Secondo alcune fonti, però, sarebbero molti di più gli ucraini costretti a lasciare le proprie case per fuggire dalla guerra. Le cifre ufficiali – ma forse sottostimate – indicano in oltre 120 i bambini uccisi e circa 1000 i civili morti finora. In Italia sono arrivati già oltre 50mila rifugiati ucraini, per lo più ospiti dai familiari già nel nostro Paese. Ma si stanno allestendo 100mila posti per l’accoglienza fra strutture pubbliche e famiglie italiane che hanno dato disponibilità. E aiuti per 60mila profughi che abbiano già trovato sistemazione autonoma nel nostro Paese.
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