aleXsandro Palombo: l’arte che vuole essere denuncia sociale per imprimersi nella memoria
L'artista pop contemporaneo spiega il suo percorso creativo e la sua poetica sociale in un'intervista esclusiva a VelvetMAG
aleXsandro Palombo è più di un Street Artist nel senso più puro del termine, quanto piuttosto un artista contemporaneo e attivista. Dopo aver presentato alcune delle sue opere più recenti, dedicate anche all’attuale drammatica situazione in Ucraina, noi di VelvetMAG lo abbiamo raggiunto per chiedergli in esclusiva alcuni dettagli sulla sua arte e sul suo processo artistico.
Milanese d’adozione, aleXsandro Palombo è riconosciuto nel mondo per le sue opere satiriche, riflessive e irriverenti; opere che traggono ispirazione dalla cultura pop, dalla società, dalle disuguaglianze, e ci consegnano in immagini la sua poetica dell’inclusione, del rispetto e della diversità; un continuo richiamo all’etica e attenzione ai diritti umani.
Molte delle sue opere sono state acquisite da musei importantissimi. Dalla violenza sulle donne, alla disabilità, alle più recenti tematiche che riguardano il conflitto in Ucraina, l’artista contemporaneo ci continua a regalare opere dalla grande potenza comunicativa.
Chi è aleXsandro Palombo
aleXsandro Palombo, che raramente sceglie di parlare, ha deciso di concedere a VelvetMAG un’intervista esclusiva, permettendoci di approfondire alcuni degli aspetti della sua arte celebre in tutto il mondo. Tra le sue opere famosissime ricordiamo Just Because I Am a Womane acquisita dal Museo delle Arti decorative del Louvre di Parigi; mentre la sua opera Marge Simpson in Mondrian (nella foto sopra, n.d.r.) è stata esposta nel Museo di Yves Saint Laurent a Parigi nella prestigiosa mostra The Mondrian Revolution. Molti dei suoi lavori sono presenti in diverse pubblicazioni accademiche in Italia e all’estero.
La potenza comunicativa ed espressiva con cui rappresenta importanti tematiche sociali, ha fatto sì che la casa editrice Pearson, ad esempio, lo inserisse nei libri di antologia con le sue opere sulla violenza contro le donne. E in merito alla sua recente opera Remember in cui Anna Frank brucia simbolicamente la “Z” di Putin, ha trovato una menzione speciale anche nel quotidiano israeliano Jerusalem Post.
Intervista esclusiva di aleXsandro Palombo a VelvetMAG
Da dove è scaturito l’interesse per le tematiche di denuncia sociale, diseguaglianze, diritti civili che possiamo considerare il centro delle sue opere?
Il mio è un percorso di vita, un concentrato di tutto quello che ho vissuto. Ci sono opere nate come gesto di reazione ad una mia condizione umana e fisica; dal confronto con il cancro alla disabilità fino alle azioni nate come risposta ad un’urgenza. Come è accaduto ultimamente con la guerra in Ucraina che mi ha riportato alla memoria tanti ricordi del passato; a quando, nel 1992, alle porte dell’Italia erano esplose le guerre jugoslave e mi trovavo su una nave della Marina Militare impegnata in importanti missioni NATO.
Nelle scene di oggi, nelle immagini di distruzione e di quelle mamme che fuggono con i bambini rivedo quelle di ieri; di quel periodo conservo molti ricordi vividi e drammatici.
Spesso mi torna in mente l’immagine di un gruppo di bambini, fra i 3 e i 12 anni, che vivevano soli e senza nulla; il loro unico riparo era lo scafo di una barca fatiscente e abbandonata sulla banchina del porto semi distrutto della città di Durazzo. Mi trovavo in Albania, un altro paese ridotto alla miseria, che stava attraversando gravi disordini interni e che si portava dietro i segni della dittatura comunista che per decenni l’aveva isolata dal mondo. Era incredibile la loro resilienza e la capacità di riuscire a sopravvivere nonostante fossero cosi piccoli e soli in un contesto così duro e difficile.
Li vedevo uscire dallo scafo solo per cercare il cibo, che in più occasioni dovevano contendersi con grossi ratti; e quando vedevano un adulto fuggivano a nascondersi. Erano estremamente schivi e difficili da avvicinare; spesso si gettavano nell’acqua putrida del porto e nuotavano fino allo scafo della nave per farsi lanciare del cibo. Per questi bambini nati sotto un regime, sopravvivere poteva essere l’unico lieto fine.
Lei preferisce far parlare le sue opere, anche scegliendo di non apparire in primo piano nei media. Le chiedo se e in che modo, eventualmente, questo anonimato influisca nelle sue scelte artistiche?
Il mio essere riservato non ha mai influito sulle mie scelte artistiche; semmai lo reputo un sigillo di autentica libertà. Ma mi rendo conto che vivendo nell’era della bulimia dell’apparire il mio profilo può risultare dissonante. La riservatezza è un valore che va difeso e preservato.
Dalle opere all’artista, ma sempre l’artista nelle sue opere
Le sue opere innescano riflessioni importanti sulle tematiche sociali a partire dalla scelta dei titoli. Quanto è importante per lei ‘nominare’ l’opera? E da qui le chiedo, nasce prima la creazione artistica o il nome?
Nominarla conferisce un’identità, ma il processo creativo parte sempre da una visione. Quando appare nella mente va catturata, metabolizzata per poi consegnarla alla creazione. È il risultato di una reazione emozionale a qualcosa che ci ha segnato in un determinato momento.
Spesso le sue opere si servono di personaggi provenienti dal mondo dell’animazione, come i Simpson o le principesse Disney, vuole spiegarci questa scelta?
Perché sono cresciuto negli Anni ’70 e ’80, nell’era del boom dei personaggi Disney e dei cartoni animati; il mio linguaggio espressivo ha iniziato a prendere forma in quegli anni. Vivevo in un sud molto duro e difficile che all’epoca era pervaso dalla criminalità; per un ragazzino la fantasia e i cartoni animati potevano essere il mezzo migliore per sfuggire dalla realtà.
Ricordo che alla fine degli Anni 80 arrivò la prima serie dei Simpson, era un cartone animato innovativo nel suo genere, perché usava un linguaggio irriverente e faceva una satira pungente; cosa che oggi non fa più, il politicamente corretto ha preso il sopravvento. Negli anni ho iniziato a realizzare opere con i personaggi animati quando ho compreso che quelle storie erano fuori dal tempo; appena ho potuto ne ho sovvertito la narrazione creando delle opere come le Principesse Disney Disabili, quelle con i personaggi più iconici dei cartoon con il cancro al seno o quelle vittime di violenza machista. Ho tracciato un solco per mettere in luce questioni importanti legate alla disuguaglianza, la diversità, i diritti umani e l’inclusività.
Il coraggio di parlarne per primi
In un certo senso è un precursore di importanti dibattiti sociali, con la denuncia insita nelle tematiche scelte. Un esempio potrebbe essere il movimento ‘Me Too’; nato successivamente alla sua serie ‘Break the Silence’. Quale studio le permette di individuare temi che, spesso, nessuno trova il coraggio di denunciare?
Dalle mie esperienze di vita o di persone vicine a me, per affrontare certe tematiche bisogna avere gli ‘anticorpi‘ giusti. Le mie opere non sono mai nate con l’intento di provocare, ma di denunciare; ci sono lavori che producono reazioni disturbanti e divisive, ed è comprensibile, perché ognuno reagisce in base al proprio vissuto. Siamo tutti diversi per cui un’opera tende a scatenare reazioni emotive differenti da persona a persona. A volte riguardiamo la stessa opera a distanza di anni e ci accorgiamo che il suo impatto è cambiato, perché nel frattempo sono cambiate le nostre esperienze di vita come la società che abbiamo intorno; se prima ci aveva fatto arrabbiare dopo può accadere che la sentiamo vicina, ne cogliamo altri significati, è come se facessimo pace con noi stessi.
Break the Silence è un potente manifesto storico, in quell’opera precorritrice ho sentito il bisogno di dare un calcio ad un castello di sabbia; a quella macchina della finzione a cui siamo stati abituati dal mondo del glamour, a quella vita da celebrità incastrata in una favola inviolabile e irreale. Ho invitato tutte le donne a reagire e le star a non aver paura di lasciar cadere il velo, di denunciare le violenze subite e venire allo scoperto. Perché il loro gesto sarebbe potuto diventare di grande esempio. Ne è nato un dibattito potente e globale che ha fatto da apripista affinché si creassero i presupposti per il Me Too.
Le opere di aleXsandro Palombo sulla guerra in Ucraina
Riallacciandomi alla domanda precedente prendo spunto dalla sua ultima opera, Remember, in cui denuncia la propaganda imperialista a sostegno dell’invasione di Putin in Ucraina. Come è nata l’idea di collegare un simbolo del Nazismo (Anna Frank) al conflitto attuale?
L’arte ha la forza di imprimersi nella memoria e di poter trasmettere un messaggio alle generazioni future. In questo caso ho fatto leva sui ricordi con l’intento di sensibilizzare e contribuire a disinnescare la propaganda della mistificazione russa. L’opera non è un richiamo ai tragici eventi della Shoah, ma una denuncia sull’impatto emotivo della guerra di propaganda nella diffusione di odio e mistificazione della verità; attività che, oggi più che mai, trova spazio con la comunicazione di massa e la diffusione dei social network. Anna Frank è il soggetto di un’opera evocativa, un monito a (ri)mettere in moto la memoria e sensibilizzare la gente a riflettere; ho voluto porre l’attenzione sul potere dei simboli e l’infanzia negata.
Cosa c’è di più disturbante nel vedere i bambini russi che nelle scuole sono stati obbligati a promuovere la “Z” il nuovo simbolo dell’invasione di Putin? La scuola è un luogo che dovrebbe essere sacro, perché significa formazione ed educazione, invece in tutto questo rivediamo scene di memoria Hitleriana. È una guerra che mette bambini contro bambini; e così facendo ha già diffuso il seme dell’odio in coloro che un domani dovranno garantire un mondo di pace. Questo tipo di propaganda oltre ad essere devastante è anche una violazione dei diritti umani; e queste immagini ci riportano con forza ad un altro periodo buio della storia recente, quello del Nazismo.
Questa non è una guerra che tocca solo l’Ucraina, ma tutti noi; perché coinvolge le nostre libertà e se ci voltiamo dall’altra parte e non ci rendiamo conto di quanta influenza possa avere questa propaganda, allora ne saremo travolti anche noi. Ecco perché è importante rispondere alla propaganda della mistificazione e svelarne la verità; serve a depotenziare il loro operato e tentare di arginare il consenso. Ci sono due guerre in atto quella con le armi e quella della propaganda; ed entrambe hanno una loro precisa funzione quella di minare e privarci della nostra libertà.
La formula dell’arte di aleXsandro Palombo: “estrema Libertà“
Le sue opere sono forti e d’impatto. Pensa che, a volte, potrebbero apparire scomode per qualcuno? Come commenta, ad esempio, la rimozione de “Il suicidio dello Zar Putin” dalle strade di Milano?
Non sono cose che mi sono mai posto, ma se qualcuno reputa scomoda un’opera che si sforza di mettere in luce un pensiero o addirittura una verità allora è perché con la menzogna ci va a braccetto. L’arte va fruita in estrema libertà e chi ne ha paura è perché ha qualcosa da nascondere. Rimuovere Il suicido di Putin è stato un gesto di censura; un po’ come se avessero voluto dire ad un criminale ed invasore di venire a casa nostra e poter fare quello che vuole. Però riflettendoci il fatto di averla rimossa in poche ore, dopo l’intervento della polizia, si è rivelata un’opera nell’opera. Evidentemente pensavano di trovarsi davanti al vero Putin e invece di arrestarlo hanno pensato bene di cancellarlo ed effettivamente in questo caso ha più senso l’opera rimossa.
L’originalità e la ricchezza delle sue creazioni ricordano quanto l’arte sia un prezioso strumento per la sensibilizzazione sociale. Cosa consiglierebbe ad un giovane artista? Da cosa lo metterebbe in guardia nell’usare questo potente e articolato ‘strumento’?
Con estrema “Libertà”, l’unica cosa che posso consigliare è di portarsi sempre in tasca questa parola. Non credo di avere gli strumenti per poter indicare la strada a qualcuno, perché ognuno ha un suo personale percorso ed è giusto che ci si senta liberi di osare e sperimentare. Amo i giovani artisti, la loro energia e voglia di fare, l’arte non ha formule e come qualunque cosa il percorso si costruisce soprattutto sbagliando.
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