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Elezioni in Ungheria e Serbia, trionfo di Orbán e Vucic

I presidenti uscenti riconfermati a valanga. Budapest e Belgrado non aderiscono alle sanzioni contro la Russia per la guerra in Ucraina

L’Ungheria e la Serbia confermano a valanga Orbán e Vucic, i presidenti uscenti, stando ai risultati delle elezioni di domenica 3 aprile.

A Budapest Viktor Orbán vince ancora. Anzi stravince. A oltre il 70% dei voti scrutinati, il premier uscente sovranista risulta in netto vantaggio. Gli elettori premiano la coalizione composta dal partito di governo Fidesz e dai cristiano-democratici di Kdnp. Il gruppo di partiti pro-Orbán avrebbe raggiunto il 54,6% delle preferenze popolari. Vuol dire 134 seggi su un totale di 199. Con la guerra in Ucraina alle porte dell’Ungheria Orbán si era proposto all’opinione pubblica come “uomo della pace“. “È una vittoria così grande che si vede dalla Luna e di certo da Bruxelles“, afferma, ironizzando sull’Unione europea, di cui l’Ungheria fa parte.

Orban Ungheria Presidente Rieletto
Il presidente dell’Ungheria, Viktor Orban

Orbán: “Vittoria contro Zelensky

Prima l’Ungheria!” è il suo slogan. L’opposizione dell’europeista Peter Marki-Zay, che aveva radunato tutti i partiti di opposizione in un’alleanza anti Orbán, si ferma al 33,6% con soli 58 seggi. “In questo sistema ingiusto e disonesto non potevamo fare di più“, ha commentato lo sconfitto. Anche l’estrema destra ha avuto un buon risultato, con il 6,4% dei consensi e 7 seggi. “Questa nostra quarta vittoria consecutiva è la più importante“, ha detto Orbán. “Abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo. Contro Soros. Contro i media mainstream europei. E anche contro il presidente ucraino“.

Zelensky: “Orbán sta con Putin

Volodymyr Zelensky nella notte di sabato si era rivolto nuovamente a Viktor Orbán, “unico in Europa a sostenere apertamente Putin“. “Questa non è la nostra guerra, dobbiamo restarne fuori“, aveva detto Orbán nell’ultimo comizio, confermando che l’Ungheria resterà neutrale. E che manterrà gli stretti legami economici con Mosca, continuando a importare gas e petrolio russi.

Volodymyr Zelensky
Il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky

Serbia, trionfo di Vucic

Se è un trionfo quello di Orbán in Ungheria lo è ancora di più quello del presidente uscente della vicina Serbia. Gli elettori hanno votato in contemporanea per le parlamentari anticipate, le presidenziali e le amministrative in 14 comuni, compresa la capitale Belgrado. E hanno riconfermato Aleksandar Vucic presidente della Serbia. Il leader uscente avrebbe ottenuto fra il 59,9% e il 61% dei suffragi: 2,2 milioni di voti. Si stima inoltre che il Partito progressista serbo (Sns) di Vucic si attesti attorno al 43%. Lo segue il gruppo di opposizione Uniti per la vittoria della Serbia, con circa il 13%. Il Partito socialista serbo, alleato di lunga data dell’Sns, è al terzo posto con l’11,6% dei voti. Non avendo la maggioranza dei 250 seggi per governare da solo, il Partito progressista dovrà cercare alleati di coalizione.

Serbia, in mezzo al guado fra Ue e Russia

Come per l’Ungheria di Orbán, anche per la Serbia di Vucic la guerra in Ucraina è divenuta uno dei temi dominanti della campagna elettorale. Vucic è in una posizione mediana, e anche scomoda nei confronti dell’Unione europea, con cui ha in corso il negoziato di adesione. Pur condannando la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, Belgrado si rifiuta infatti di aderire alle sanzioni internazionali contro Mosca. E lo fa invocando gli interessi nazionali della Serbia. In primo luogo le forniture energetiche di Mosca a prezzi scontati e il sostegno sulla spinosa questione del Kosovo.

Vucic Serbia
Il presidente della Serbia, Aleksandar Vucic

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Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore.

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