Ponzio Pilato, chi era davvero il romano che condannò Gesù
Le testimonianze parlano di un uomo intransigente al servizio di Tiberio
Conosciuto da tutti ed entrato nella cultura popolare anche per la celebre espressione “lavarsi le mani“, Ponzio Pilato è indicato come il responsabile della condanna di Gesù. Ma chi era davvero questo uomo di cui non parlano solo i Vangeli?
Di certo era il governatore romano della Giudea la cui esistenza stessa è comprovata da un’epigrafe. Fino al 1961, quando un operaio a Cesarea trovò l’iscrizione, infatti, di lui parlavano solo i Vangeli. In seguito, però, la prova della sua esistenza dal punto di vista storico fu affidata proprio all’epigrafe che riporta “Pontius Pilatus, Praefectus Iudeae“.
Stando ad altre fonti, però, questo prefetto era anche un uomo inflessibile, che in diverse occasioni si scontrò con la popolazione ebraica di Gerusalemme in nome di Roma. Nonostante ciò, però, sembra anche che l’imperatore Tiberio non approvasse del tutto i suoi metodi.
Ponzio Pilato, il prefetto integerrimo poco amato dagli Ebrei
Tiberio conosceva l’importanza del territorio giudaico per Roma. Esso rappresentava, infatti, un luogo strategico nell’ottica della guerra sempre aperta contro i Parti. Non appena terminò il mandato di procuratore Valerio Grato, dunque, l’imperatore affidò la carica a Ponzio Pilato, che era amico del fidato Seiano.
Sulle sue origini non ci sono notizie certe. Secondo alcuni era di origini abruzzesi, anche se la gens Pontia era campana. Di certo apparteneva all’ordine equestre e un ricco cursus honorum lo aveva portato a ricoprire la carica di prefetto della Giudea. Un’opera intitolata De legatione ad Gaium, il filosofo Filone di Alessandria parla di lui affermando che non aveva dimostrato il minimo riguardo per i giudaici, per le loro tradizioni né per la religione che si discostava molto da quella romana. La stessa fonte riporta che “era di natura intransigente, spietato nella sua impertinenza, iracondo e pieno di rancore“. La popolazione, inoltre, pare che si lamentasse delle esecuzioni dei prigionieri senza regolare processo.
Rispetto a quanto accadeva normalmente, Ponzio Pilato mantenne la carica di prefetto per dieci anni, dal 26 al 36 d.C. Nei lunghi di anni di mandato, però, il suo rapporto con gli Ebrei non fu dei migliori e più volte sfidò la popolazione locale imponendo i culti romani e obbligandoli ad accettare manifestazioni di “romanità” che si opponevano alla tradizione giudaica. Durante un periodo di siccità, inoltre, utilizzò parte del tesoro del tempio di Gerusalemme per costruire un acquedotto. Le proteste giunsero da ogni parte e alla fine ordinò ad alcuni membri della sua guardia di travestirsi e mescolarsi alla folla. All’ordine dell’ufficiale di comando, i soldati mischiati nella folla si scagliarono contro i manifestanti uccidendo un centinaio di persone.
Il reale coinvolgimento nel processo di Gesù
Questo quadro della personalità di Pilato, dunque, porta molti esperti ad escludere la versione dei Vangeli, secondo cui addirittura fu quasi costretto dagli Ebrei a ordinare la condanna a morte. Il ‘buonismo’ di queste versioni, infatti, nasce probabilmente dall’intento di discolpare i Romani per permettere la diffusione del Cristianesimo. Gli storici, al contrario, ritengono che Ponzio Pilato condannò con fare sbrigativo Gesù ricorrendo ad una cognitio extra ordinem, ovvero un rito abbreviato con sentenza immediata.
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Sulla sua fine le fonti sono differenti. Alcuni ritengono che andò in esilio per ordine di Tiberio e del suo successore Caligola. Giunto nella Gallia Venniense si sarebbe tolto la vita. Secondo la tradizione cristiana tramandata da Eusebio, invece, si sarebbe convertito e sarebbe morto da martire. La Chiesa ne celebra la ricorrenza il 25 giugno.
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