Oggi 9 maggio è un giorno importante per l’Europa. Quello prescelto, nel vertice di Milano del 1985, dai capi di stato e di governo europei per celebrare la nascita dell’Unione Europea. Perché nel 1950 questo stesso giorno con la dichiarazione del Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, nasceva la CECA.

L’acronimo di Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio segnava una svolta storica con l’accordo a 6 paesi: tra cui Belgio, Francia, Germania Ovest, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.

Il simbolo – bandiera della CECA: una stella ognuno dei 6 paesi che ne facevano parte

Gettava le basi della rinascita della pace e dello sviluppo in Europa attraverso la cooperazione nella produzione di queste due importanti materie prime. Ma se a distanza di 70 anni l’obbiettivo di una pace duratura fra le potenze europee può dirsi raggiunto (i due conflitti, quello balcanico prima, e quell’ucraino oggi sono al di fuori dei paesi dell’UE), la realizzazione di un’Europa federale tarda a realizzarsi. Oggi però è tempo che quel sentimento di fratellanza Europea ritrovi nuova linfa. Pena, mettere definitivamente a rischio l’indipendenza economia e politica del continente.

L’idea di un Europa unita  

L’idea di un unico popolo europeo a decidere le sorti del proprio destino politico-economico ha radici profonde. L’Europa nella storia ha sperimentato diversi tentativi di unità politica con il susseguirsi dei vari imperi. L’esperienza più duratura è stata ovviamente quella dell’Impero romano che unì il continente – attraverso prima la conquista militare – per quasi più di duemila anni. L’Unione Europea rappresenta invece una reale svolta politica nata dalla libera scelta dei popoli. I padri fondatori desideravano consegnarci un continente finalmente in pace e unito nelle battaglie politiche future. Il percorso sarebbe stato graduale e avrebbe mosso i primi passi prima sul piano economico per poi allargarsi a quello politico-giuridico. La mancata svolta federalista però ne ha inceppato ad un certo punto lo sviluppo e la “popolarità”. Creandone negli ultimi decenni il prefetto capro espiatorio per tutti i mali delle politiche nazionali. In realtà il problema non è l’UE, ma la non-Europa. 

I costi della non-Europa: le sconfitte politiche della non-cooperazione

La non-Europa priva di un debito comune nei mercati, di un esercito, di una linea comune di politica estera e di una carta costituzionale, è nei fatti incapace di fare oggi la differenza. La non-Europa e non l’Unione Europea è responsabile della debolezza economica e politica in cui versa il continente europeo. Oggi schiacciato economicamente tra le due superpotenze americana e cinese. Laddove vi è minor cooperazione fra gli stati l’Ue incassa ed ha incassato nel tempo le proprie sconfitte. Gli esempi sono evidenti. Nei mercati finanziari ad esempio fu l’impossibilità da parte della BCE nel 2008 di farsi prestatore di ultima istanza, a realizzare la crisi dei debiti pubblici sovrani. Allora alcuni stati e quindi tutta l’UE era finita sotto l’attacco speculativo dell’alta finanza anglo-americana. Basta godersi la prima stagione di Diavoli, con tanto di passaggio di Mario Draghi, allora Governatore della Banca Centrale Europea e il celeberrimo: “Whatever it takes!“.

In ambito politico-giuridico è soprattutto l’impossibilità in seno al Parlamento di prendere decisioni a maggioranza qualificata, ma soltanto all’unanimità, che blocca e rallenta costantemente l’approvazione dei provvedimenti più urgenti. Aprendo costantemente trattive parallele e richieste di ogni tipo.

La non-Europa oggi nel conflitto Ucraino

La non-Europa pesa ancora di più oggi nella crisi ucraina. Una politica energetica comune avrebbe garantito oggi ai paesi dell’Ue dei prezzi più agevolati e delle riserve energetiche più consistenti. I prezzi dell’energia difatti potrebbero essere dimezzati attraverso la creazione di una rete unica europea dell’energia e del gas. Insieme all’acquisto congiunto di energia dai paesi terzi, come avvenuto per i vaccini. Gli Stati membri dell’Ue inoltre, perché divisi, subiscono oggi la beffa di spendere per la difesa più del doppio della Russia. Senza possedere però alcuna significativa capacità di deterrenza.

Soldati italiani. Foto @Esercito

Nel 2020 le spese di tutti i paesi membri dell’UE ammontavano a circa 227,8 miliardi di dollari, mentre quelle di Cina e Russia si attestavano a quota 146 e 67 miliardi. Virtualmente dunque l’Europa sarebbe la seconda potenza militare solo che non può considerarsi tale, perché non possiede un’esercito comune. Ecco perché incrementare le spese nazionali per la difesa al 2%,come suggerito dalla NATO, rischia in realtà di rappresentare solo l’ennesimo spreco. L’UE beneficerebbe molto di più indirizzando quelle risorse in un progetto unico di difesa.

La difesa dell’indipendenza politica del continente

Bisogna capire profondamente che solo una svolta federalista e la creazione di un esercito comune, possono garantire un maggiore potere contrattuale e politico agli stati membri dell’Ue. Nel mondo globalizzato nessuno stato, Germania e Francia compresa, da solo può sperare di fare di meglio. L’Europa unita è l’unica a possedere un potere economico tale da salvaguardare la sovranità politica degli stati del continente. Il rischio è quello altrimenti di rimanere schiacciati dall’espansionismo cinese e dal monopolio americano. Nel 1849 scriveva così lo scrittore francese Victor Hugo “verrà un giorno in cui voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi stringerete in un’unità superiore e costruirete la fratellanza europea”.

Quel sentimento di fratellanza europea deve ritrovare oggi nuova linfa vitale in quella urgente necessità di rinascita economica e politica. La crisi ucraina e i due anni di pandemia da Covid-19, ci hanno reso più che mai consapevoli che è solo attraverso la concessione di maggiore sovranità all’Ue che possiamo sperare di vedere difesi i nostri interessi. Altrimenti prima o poi inevitabilmente prevarranno sull’intero continente quelli di qualcun altro.