Cadono martedì 17 maggio i 50 anni dall’omicidio di Luigi Calabresi, commissario di polizia, ucciso in un attentato a Milano nel 1972. Il suo caso è divenuto fra i più emblematici della fase iniziale degli ‘anni di piombo’. Del commissario, padre del giornalista Mario Calabresi, ha parlato il capo dello Stato, Sergio Mattarella.
“Sono trascorsi 50 anni dal criminale agguato terroristico che stroncò la vita del Commissario, servitore dello Stato democratico fino al sacrificio” ha detto il Presidente della Repubblica. “La Repubblica non dimentica i suoi caduti. La memoria è parte delle nostre radici ed è ragione e forza per le sfide dell’oggi“. “In figure come il Commissario Calabresi sono testimoniati valori che consentono all’intera comunità di progredire, di trovare l’unità necessaria nei momenti più difficili, di sentirsi responsabile verso le nuove generazioni.”
“Vicinanza alla famiglia Calabresi”
“In questo giorno si rinnova la solidarietà e la vicinanza del popolo italiano alla moglie e ai figli, costretti a pagare il prezzo più alto alla barbarie di un tempo drammatico. In cui il furore ideologico giunse all’estremo della ferocia e del disprezzo di ciò che è più umano“. “Il coraggio, la compostezza della moglie Gemma Calabresi Milite – ha continuano Mattarella – dei tanti familiari delle vittime dei terrorismi, sono diventati negli anni pietre miliari di una ricomposizione della comunità attorno ai principi del rispetto.”
Ma anche “di una ricostruzione paziente del tessuto civile lacerato dalle morti di tanti uomini e donne dello Stato, di dirigenti, lavoratori e dall’odio che le bande del terrore seminavano con le loro azioni e le loro parole.” “La difesa di quelle libere istituzioni che i nostri padri ci avevano consegnato è avvenuta senza rinunciare in alcun modo ai diritti fissati nella Costituzione, nostra carta di identità nazionale. Un insegnamento che non va dimenticato, prezioso per i giovani, per aiutarli a costruire il futuro di cui saranno artefici e protagonisti” ha concluso Mattarella.
L’omicidio Calabresi
Il caso dell’omicidio Calabresi è riferito all’assassinio del commissario di polizia e addetto alla squadra politica della Questura di Milano, avvenuto il 17 maggio 1972. I terroristi, un commando di due uomini, lo colpirono quando era appena uscito di casa, poco dopo e 9 del mattino. Dopo un iter processuale particolarmente travagliato solo nel 1997 si giunse a una sentenza definitiva in Corte di Cassazione.
I giudici individuarono in Ovidio Bompressi e Leonardo Marino – collaboratore di giustizia sulle cui parole si basò l’accusa – gli esecutori materiali del delitto. In Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, capi di Lotta Continua, organizzazione della sinistra extraparlamentare, i mandanti. Lotta Continua aveva condotto una violenta campagna di stampa contro Luigi Calabresi, additandolo a responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato dagli uffici della questura di Milano dopo la strage di piazza Fontana.
Adriano Sofri, che si è sempre detto innocente pur assumendosi la responsabilità morale del delitto, ha scontato in carcere alcuni anni, prima di essere dimesso per gravi motivi di salute. È noto non solo per essere stato una delle figure più emblematiche del Sessantotto italiano ma anche perché scrittore e giornalista. Giorgio Pietrostefani è stato a lungo latitante in Francia, fino all’arresto di un anno fa a Parigi. Domani 18 maggio si terrà l’udienza per la concessione dell’estradizione in Italia.
“Mio padre, uomo del dialogo”
“Ci siamo molto interrogati su questo” ha dichiarato Mario Calabresi, figlio del commissario ed ex direttore della Stampa e di Repubblica. “Oggi a noi che un uomo di 78 anni malato (Giorgio Pietrostefani, ndr.) vada in carcere non restituisce più niente. È importante dal punto di vista simbolico ma per noi non ha quasi più senso“. “Proprio due giorni fa – ha aggiunto – ho incontrato una persona per strada, un ragazzo che mi ha detto che era del Movimento studentesco e che incontrava mio padre quando andava fuori dall’università a parlare con gli studenti quando c’erano le occupazioni. Mi ha fatto piacere perché mi ha detto che era un uomo di dialogo, ecco così lo voglio ricordare“.