52 anni fa nasceva nel nostro sistema giuridico la legge più significativa posta alla base della disciplina del lavoro e dei lavoratori: la n. 300 del 1970 che prende il nome di Statuto dei Lavoratori. All’interno della Costituzione italiana la tematica del lavoro assume un ruolo fondamentale ed imprescindibile, venendo, questa, spesso definita anche “Costituzione lavorista”. A dimostrazione di ciò leggiamo parte del contenuto dell’articolo 1 il quale dispone con chiarezza che: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Il concetto di lavoro è posto a fondamento del nostro Paese poiché considerato il motore del progresso di tutto il mondo. Il lavoro di un individuo porta all’evoluzione di sé stesso, della propria famiglia, dell’azienda in cui è assunto e infine dell’economia della stessa nazione. Dunque, l’attività lavorativa svolta dal singolo va sicuramente a costituire un valore aggiunto per il bene della collettività. Inoltre, altra questione sostanziale derivante dal diritto al lavoro è la garanzia dell’uguaglianza e della pari dignità sociale delle persone. Attraverso la previsione di questo diritto si è voluto, infatti, eliminare qualsiasi forma di sfruttamento o di “dipendenza schiavitù”, frequentemente usate non soltanto in passato, a salvaguardia del valore proprio degli individui e dei loro diritti personali.
Da dove nasce l’esigenza di una tutela giurisdizionale per il lavoratore
Nel corso del XVIII e XIX secolo con la Prima Rivoluzione Industriale e conseguentemente la nascita del modello capitalistico della produzione di massa il rapporto economico-sociale mutò. Era, infatti, caratterizzato da una disparità di forza economica e contrattuale tra le parti. Questo squilibrio era dovuto soprattutto al fatto che l’offerta di lavoro eccedeva la domanda. Nacquero così le prime forme di organizzazione sindacale. Ossia gruppi di lavoratori che per autotutelarsi mettevano in atto azioni di pressione sulle controparti per ottenere delle migliori condizioni di lavoro.
Le intese tra operai, però, non erano viste di buon occhio e anzi vennero addirittura vietate. Questa situazione mise in luce la posizione di contraente debole del lavoratore nel contratto di lavoro. Il diritto del lavoro, quindi, da questo momento in poi mira ad avere una funzione di protezione nei confronti del lavoratore. A fine ‘800 vennero rimossi i divieti di coalizione dal Codice Zanardelli poi ripristinati nel 1922 con l’avvento del fascismo in Italia. Finita la dittatura fascista nel 1949 venne approvata la Costituzione fondata sul diritto al lavoro come strumento di promozione dell’uguaglianza e di riscatto sociale.
Lo Statuto dei Lavoratori: la disciplina del “giusto” rapporto di lavoro
Dal punto di vista legislativo e in attuazione dei principi costituzionali il periodo della ricostruzione post-bellica fino agli Anni ’70 è caratterizzato da un costante studio per l’accrescimento di nuove tutele per il cittadino. Ed è proprio in questi anni che nasce lo Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) con cui si raggiunge, per l’appunto, una tutela giurisdizionale differenziata per le controversie in materia di lavoro e per la previdenza e assistenza sociale. In particolare questa legge prevede norme poste a difesa del lavoratore, ma anche a garanzia dell’attività sindacale intesa come contropotere nei confronti dell’imprenditore.
Questo corpo normativo affronta, quindi, argomenti divisi in due categorie. La prima prevede delle garanzie nei confronti del lavoratore all’interno e all’esterno dell’ambiente di lavoro: impedisce pratiche inquisitorie, accertamenti d’ordine privato e personale e limita il potere disciplinare. La seconda categoria riguarda i diritti sindacali, ovvero quelli che riguardano la creazione e l’adesione ad organismi di rappresentanza sindacale. E sono la possibilità di svolgere assemblee nel luogo di lavoro e quelli relativi alla costituzione delle rappresentanze sindacali.
La legge n. 300/1970 nasce, quindi, dall’esigenza dei lavoratori di voler partecipare al boom economico del secondo dopoguerra senza, però, essere considerati come semplici fattori della produzione. Si assiste quindi ad un processo di maturazione storica che porta il cittadino lavoratore a prendere coscienza della propria posizione sociale rivendicando, così, i propri diritti.