Il Diritto degli Influencer, il primo vademecum per loro e le aziende nella pubblicità sui social
Intervista esclusiva del direttore di VelvetMAG a Massimo Giordano e Matteo Flora sul volume dedicato all'influence marketing
Amati, inviadiati, ricchi, potenti: gli influencer sono VIP gettonati spesso senza avere alcuna peculiare capacità sia essa sportiva, politica, attoriale, musicale. Eppure ormai influenzano le nostre scelte e quindi le nostre vite. Il direttore di VelvetMAG ha incontrato l’avvocato Massimo Giordano (M.G. nel testo, n.d.r.), uno dei due autori – insieme a Riccardo Lanzo – del volume Il diritto degli influencer e con l’autore della postfazione Matteo Flora (M.F. nel testo, n.d.r.)
Raccogliendo cronaca, sentenze, ordinanze e casi che hanno fatto notizia, offre un “kit di sopravvivenza” per gli influencer, specie i più giovani, che si ritrovano personaggi all’improvviso e spesso senza avere i professionisti giusti al fianco. Oggi che gli esperti in ricerche di mercato, e i creativi anche geniali, hanno ceduto il passo ai ‘digital VIP‘, le aziende spesso li scelgono per raggiungere l’agognato target, ma spesso incappano in sanzioni anche severe.
Intervista a Massimo Giordano e Matteo Flora su Il Diritto degli Influencer
Un volume come Il diritto degli influencer dedicato a Regole e strumenti di tutela per il business sui social nasce anche dall’esigenza di chiarire la regolamentazione di un settore che vale 280 milioni di euro?
M. G.: L’occasione in realtà nasce dal fatto che lo studio legale di cui sono partner – lo Ius 40 – si occupa di un influencer assai noto in tutto il mondo. Approcciandoci alle necessità specifiche del nostro cliente ci siamo resi conto di quanto mancasse un volume dedicato alle tematiche giuridiche legate alla vita professionale degli influencer o delle aziende che decidono di farsi pubblicità scegliendone uno. Ci sono migliaia di pubblicazioni e libri sulla tutela del marchio, sulla pubblicità trasparente, sul codice del consumo, ma non specificatamente al tema che abbiamo esplorato.
Negli ultimi 5 anni come studio ci siamo dedicati e cimentati più volte con il diritto della rete. Abbiamo creato dei volumi per fornire tutte insieme le fonti. Il primo libro ha affrontato e raccolto tutte le sentenze in ambito civile e penale dedicate a Facebook: la diffamazione, la sostituzione di persona, la concorrenza sleale. Il secondo con la stessa filosofia è stato dedicato a Google: qui ci siamo dedicati ai marchi altrui usati come parola chiave, il diritto all’oblio. Per diversi anni la stessa compagnia lo ha regalato a tutti i neo assunti. Abbiamo cercato con questo volume di colmare questo vuoto e forse per questo abbiamo avuto l’onore di avere la prefazione di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali.
Allora scendiamo nel dettaglio e andiamo alle regole che devono seguire gli influencer
M. G.: Internet ha rivoluzionato il mondo della pubblicità consentendo il passaggio dalla pubblicità generalista alla massima targetizzazione dei messaggi. E questo è stato possibile anche grazie alla figura degli influencer. Che apparendo un fenomeno spontaneo, spesso fa dimenticare, come debba seguire delle regole. Sono quattro e allo stesso tempo fondamentali e indispensabili:
- La Pubblicità deve essere trasparente.
2. Quando utilizzi un Marchio: devi sapere quando e come lo puoi fare.
3. In caso di utilizzo di Contenuti non propri: deve essere chiaro come e quando si possono usare.
4. Il contratto tra azienda e influencer deve contenere esplicitati diritti, doveri e responsabilità di entrambe le parti. Con precise clausole per l’influencer, sia che sia un brand ambassador o per esempio faccia dei semplici endorsment. Prevendendo precise sanzioni, se non le rispetta.
M. F.: La verità è che quelle regole sono sommerse, non nascendo per gli influencer. Le norme ci sono – prendi l’art. 23 del Codice del Consumo – ma spesso non masticano di diritto loro e i brand commettono errori strategici. A volte perché dimenticano nella gestione delle azioni di influence marketing come non sia una semplice leva di comunicazione e marketing, ma necessiti di supporto legal, compliance e audit. E che spesso sbagliano a non considerare le conseguenze e i rischi sanzionatori. Attualmente queste azioni rappresentano circa un terzo degli investimenti pubblicitari. E sono le aziende a vedersi comminare le sanzioni più grandi. I controlli sono sempre più serrati visto il successo del fenomeno. Alcuni influencer con grande seguito sono diventati molto attenti al rispetto delle regole, perché hanno subito diverse sanzioni. Le aziende invece spinte alla massima ricerca della spontaneità dell’influencer sono state a volte severamente punite.
Parliamo allora di alcuni casi di campagna di influencer marketing finiti nel mirino
M. G.: I casi sono portati in decisione o davanti al gran giurì o comitato di controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, dai giudici ordinari oppure all’Autorità Garante della Comunicazione (AGCOM). Ne abbiamo esplorati alcuni che secondo noi racchiudevano gli aspetti che è giusto conoscere. Come le due istruttorie più famose (Alitalia e Barilla) aperte proprio da AGCOM, che non si sono concluse con sanzioni, ma con forti raccomandazioni: di dotarsi di linee guida, policy e di attività di risk analysis in ambito marketing. Oppure il caso dell’utilizzo improprio, e sanzionato, del marchio Ferrari da parte dello stilista Philip Plein:
Quello invece che ha visto coinvolti Fedez e la Peugeot, per cui entrambi vengono sanzionati per pubblicità occulta, è importante per fornire alle aziende preziosi suggerimenti. Nel caso la casa automobilistica in un primo momento si era difesa adducendo la motivazione della non conoscenza delle intenzioni del rapper. La sentenza ribadisce come il rapporto contrattuale tra azienda e influencer investa la prima dell’onere della prova per evitare l’illecito. Una probatio difficile per cui le aziende devono dotarsi di linee guida, policy interne – a volte anche il codice etico, se contiene dei principi specifici sulla materia – dedicate a disciplinare e predisporre controlli preventivi sull’utilizzo del proprio brand da parte degli influencer.
Flora lei ha scritto la postfazione del libro: che cosa deve ricordare il lettore assiduo fruitore dei social media?
Al lettore questo libro mostra i meccanismi che lo tutelano come consumatore di pubblicità. In un mercato, anzi direi società, in cui la formazione dell’opinione ha assistito alla morte del gatekeepeer – riviste specializzate, stampa, media – la visione informata della realtà si forma prettamente nel mondo digitale. Per questo è importante essere consci delle garanzie che navigando l’utente può cercare o richiedere. Che sono essenzialmente garanzie di trasparenza nella comunicazione.
Gli influencer sembrano nascere per caso, si possono davvero costruire e pianificare a tavolino?
M. F.: Vanno fatti alcuni distinguo. I più grandi fenomeni sono spontanei. Per esempio Justin Beaber è diventato famoso prima su You Tube, poi come musicista e attore. Alcune celebrities diventano anche influencer sulla rete e sono bravi. Controllare tutta una serie di mezzi – e lo possono fare i grandi network, in Italia sono due i più grandi – offre la possibilità lanciare un piccolo influencer e farlo diventare grandissimo. Oppure possono puntare sulla strategia delle collaborazioni. Diciamo che una base di alcune migliaia di fan reali che ti seguono come persona sono la condizione essenziale.
Perché le persone non si appassionano ai temi (come avviene solo con i divulgatori, che possono essere bravi sui social), le persone si appassionano alle persone. Non importa cosa fai, ma la tua vita: posti, animali … Parliamo di un rapporto prevalentemente empatico, al contrario di quello con le testate giornalistiche. La cosa importante è creare un personaggio sui social, senza straniarne i contenuti. Anche quando lo si fa per i top manager di grandi aziende trasformandoli in thought leader, importante soprattutto nei casi di crisis communication.
A che punto è la legislazione del comparto, che dagli ultimi dati impiega 450 mila persone?
M. F.: Sulla numerica possiamo dire che 450 mila è un dato anche stringente, che ingloba solo chi lo fa come occupazione principale. Ma ormai secondo ONIF (Osservatorio Nazionale Influencer, n.d.r.) il 30% del budget è assegnato all’influencer marketing, quindi è sicuramente sotto stimato.
M. G.: Proprio queste numeriche secondo noi rendono necessario che sia diffuso un principio legale importante che è contenuto nell’art. 1 della Digital chart. Questo articolo è praticamente il manifesto degli influencer, e recita: “La comunicazione commerciale diffusa attraverso internet, quali che siano le modalità utilizzate, deve rendere manifesta la sua finalità promozionale attraverso idonei accorgimenti“. E’ cruciale quindi che chi si occupa di questa particolare forma di ADV riconosca e attui, in base al lato della barricata – influencer o azienda – questi accorgimenti che sono stati individuati in tutte le fattispecie dell’influencer marketing: dagli inviti agli eventi, passando per endorsment, redazionali e altro. Solo questo consente a comparto di fare pubblicità trasparente e responsabile.
Oltre al Regolamento della Digital Chart sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale attraverso internet ci sono diversi documenti importanti e li abbiamo allegati tutti al volume: il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e il Codice Etico per i Digital Content Creator dell’associazione IGERSITALIA.
Esiste un targettizzazione evidente per social, ma Instagram ha un valore aggiunto nel creare un influencer?
M. F.: Oggi mezzo, ogni social ha peculiarità diverse. Addirittura i formati cambiano. Generalizzando su Tik Tok dominano le colonne sonore e mostra un’omologazione maggiore nel seguire determinati trend; su Facebook la fanno da padrone le community, su Instagram gli accadimenti. Twitter è il social prima delle notizie, poi dei second screen: fonte primaria, non mediata; e secondaria poi per l’attività degli opinion leader. Su You Tube che è il più generalista, però sono premiati i contenuti lunghi – i long form – per inserire più spazi pubblicitari. Questo non significa che non si possa declinare qualcosa su tutte le piattaforme, ma generalmente è una strategia fallimentare. Basti pensare che anche gli stessi influencer sono diversi per mezzo. A volte alcuni sono forti su più piattaforme, ma hanno engagement completamente diversi.
Che tipo di figure professionali sono coinvolte o si crede ancora che basti uno smartphone?
M. F.: Dipende molto dalla persona, ma fanno molto da soli. Fanno da soli perché la spontaneità e la coerenza personale è sinonimo di successo. L’influencer è il direttore creativo di se stesso. I casi etero diretti, di solito nascono così. Poi per le azioni che richiedono molto tempo entrano in gioco altre figure nella preparazione del contenuto – videomaker, montatori, che inseriscono sigle, copertine – nella pubblicazione sui vari canali (adattamento e declinazione per social); naturalmente post c’è tutta la parte di gestione dei commenti e la parte di business. Spesso quest’ultima è demandata al procuratore.
M. G.: A parte il personale che fornisce il supporto tecnico, servono poi diverse aree professionali a supporto di un influencer: persone che consulti per avere idee (spesso il manager, che gestisce i contatti con chi può comprare i contenuti) e chi lo tutela legalmente – avvocato – e spesso un consulente finanziario
Quando un influencer diventa un brand e come si tutela in questo delicato e proficuo passaggio?
M. F.: Un influencer svolta quando comincia ad essere riconosciuto per strada e spesso viene rivoluzionata la sua vita come non si aspettava. Diventa un personaggio pubblico, molto spesso bersaglio del mondo gossipparo. La riconoscibilità nel main stream e le tante attese hanno anche creato non di rado fenomeni di bourn out.
Che rapporto esiste tra l’influencer, lo showbiz e i media tradizionali?
M. F.: L’influencer per i media tradizionali è fonte di informazioni, gossip, in prima persona e con la sua community. In certi ambiti abbiamo assistito anche trasformazioni di successo da influencer a giornalista/blogger. Mentre il rapporto con lo showbiz è assai più complesso: è mediamente semplice passare dallo showbiz ai social, sfruttando la propria notorietà, essendo mediamente bravi. Le celebrities spesso poliedriche sono più semplici da riutilizzare. Il passaggio inverso è più complesso e dipende molto dalla conoscenza del proprio pubblico. Basta pensare a tutti i flop di serie tv, programmi, film con influencer dal grande seguito. Influencer ha successo davvero se riesce a “trasportare”, declinare di nuovo, se stesso nel nuovo format o canale.
Massimo Giordano, laureato all’Università degli Studi di Pavia il 13/7/1994, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Novara dall’1/12/1997. Nel 2005 ha acquisito master in Diritto dell’internet e delle nuove tecnologie presso l’Università di Milano e nel 2009 in Diritto delle Pubbliche amministrazioni all’Università Statale di Torino. Sindaco di Novara dal 2001 al 2010, e assessore Regionale allo sviluppo economico della Regione Piemonte dal 2010 al 2013. Attualmente si occupa prevalentemente di diritto bancario e penale.
Matteo Flora si definisce Hacker, ma soprattutto è Professore a Contratto in Corporate Reputation e Storytelling. Ha fondato The Fool, la società Leader di Reputazione, con cui aiuta Leader, Corporation e Organizzazioni ad esprimere al meglio e tutelare la propria Reputazione ed il proprio Posizionamento Strategico. Tiene una apprezzata e scanzonata video-rubrica su You Tube e Facebook) chiamata “Ciao, Internet!” e nella vita di tutti i giorni aiuta Manager e Aziende a raggiungere i propri Obiettivi Strategici usando i Dati e la Tecnologia.