Ci ha regalato nel corso degli ultimi mesi la sua opera più intima, a vent’anni dal suo esordio: parliamo ovviamente di Paolo Sorrentino. Il regista partenopeo compie oggi 52 anni e con È stata la mano di Dio ha segnato uno storico spartiacque nella sua vita.
Ad oggi, Paolo Sorrentino è considerato uno dei nomi italiani contemporanei più importanti del cinema. Di recente, ha inoltre presenziato al 75° Festival di Cannes in occasione di un incontro per discutere del futuro del grande schermo, al fianco di personalità come Guillermo del Toro e Christian Mungiu. Ed è qui che, pur non rinnegandola, ha annunciato di fatto la fine della sua collaborazione con Netflix.
“Ho fatto esperienza di diversi supporti, ho fatto film per il cinema e per la televisione, ma alla fine la cosa che preferisco è fare film come quelli che facevo all’inizio. È solo su un grande schermo che ritroviamo tutto il potere di una storia.” – ha affermato il regista. Eppure, senza questa collaborazione, non avremmo mai avuto È stata la mano di Dio. Senza Netflix, Sorrentino non ci avrebbe mai donato il suo lato più intimo, segnato da quella dolorosa (grande) bellezza che è la “sua” Napoli adolescenziale e dalla ancor più dolorosa perdita dei genitori.
È stata la mano di Dio è Sorrentino all’ennesima potenza
Con È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino ha portato a compimento un processo artistico – ma anche personale – iniziato ormai vent’anni fa. Era il 2001 quando nelle sale è approdato sul grande schermo L’uomo in più, con il suo interprete-feticcio Toni Servillo. La loro collaborazione si è rivelata particolarmente proficua, concretizzandosi in Le conseguenze dell’amore (2004), Il divo (2008) – vincitore del Premio della giuria a Cannes – il Premio Oscar La grande bellezza (2013), Loro (2018) e in ultimo È stata la mano di Dio.
Era imprescindibile per il regista partenopeo la presenza di Servillo per il film che ha segnato, non solo concettualmente, ma anche fisicamente, il suo ritorno a Napoli. Dopo i progetti internazionali che lo hanno portato al di fuori dei confini nostrani (This Must Be the Place e Youth – La giovinezza), Paolo Sorrentino si è infatti mostrato pronto a riunirsi alle origini, dopo essersi disunito. La sua è però una Napoli riavvolta nel tempo, fino ai tumultuosi Anni Ottanta. Gli anni di Diego Armando Maradona nel capoluogo campano, ma anche dell’improvvisa scomparsa dei genitori del regista, che nel film rivive la sua adolescenza attraverso il giovane Fabietto Schisa (Filippo Scotti).
Paolo Sorrentino ci insegna a non “disunirci”: il vero significato
Il ragazzo, a seguito della morte improvvisa dei genitori a causa della perdita dalla caldaia della casa in montagna, è in cerca di un motivo per non abbandonare la città. Poco prima del finale, Fabietto intratterrà un dialogo con il suo mentore, il regista Antonio Capuano, che gli dirà: “Non ti disunire mai, non te lo puoi permettere.” Nel suo senso più profondo, si tratta di un invito a non perdere la propria unità e dunque la propria essenza, legata in maniera viscerale a Napoli. In altre parole, il regista dirà al ragazzo di non perdere se stesso, lasciando la sua città e i ricordi a lei legati. Un invito che Fabietto (così come Sorrentino, d’altronde), non rispetterà, decidendo infine di partire per Roma.
Ma, in cuor suo, Paolo Sorrentino non ha mai abbandonato Napoli. L’ha portata sempre con sé, anche oltreoceano, quando nel 2014 ha ritirato il Premio Oscar per La grande bellezza. “Grazie a Toni e Nicola, grazie agli attori e ai produttori. Grazie alle mie fonti di ispirazione, i Talking Heads, Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona. Mi hanno insegnato tutti come fare un grande spettacolo, che è la base per il cinema. Grazie a Napoli e a Roma.” – ha difatti affermato sul palco del Dolby Theatre. Con È stata la mano di Dio, dunque, il regista ci ha mostrato come talvolta “perdersi” sia il miglior modo per ritrovare se stessi, per ricongiungersi con la propria essenza. Per non “disunirsi”.