Prodotti confezionati e sicurezza alimentare: si è persa la qualità della vita?
L'emblematico caso della Nestle: la produzione di massa dilangante e la qualità della vita condizionata
Prodotti confezionati o cibi freschi? Oggi si celebra la Giornata Mondiale per la Sicurezza Alimentare, un tema delicato e attuale visti i recenti sviluppi nell’industrializzazione degli alimenti e l’insorgere di nuove abitudini alimentari. Nel bombardamento di continue nuove informazioni, la maggior parte di noi, molto spesso preferisce semplicemente oggi non informarsi e perseverare nelle proprie abitudini alimentari.
Quante volte ci siamo consolati nella convinzione che “tanto oggi tutto fa male”?. Eppure siamo proprio noi consumatori l’ago della bilancia. Siamo noi ad orientare il mercato e premiare la qualità di un alimento piuttosto che un altro.
Se molliamo nelle nostre pretese o smettiamo di informarci, diventiamo noi colpevoli di acconsentire tacitamente a degli standard alimentari sbagliati. Oggi il consumo dei prodotti confezionati nei paesi industrializzati supera quello dei prodotti freschi. Ma la produzione di massa ha migliorato la qualità della nostra vita?
Prodotti confezionati: il caso esempio della Nestlè
Una delle principali novità e mode degli ultimi decenni è stato il consumo di prodotti confezionati. Chi nella propria infanzia ha potuto fare a meno di mangiare Kit Kat o intere cucchiaiate di Nesquik ? Eppure è proprio lo stesso colosso svizzero della Nestlè, a conferma del contesto vizioso in cui ormai ci troviamo, ad aver ammesso di recente che circa il 60% dei suoi prodotti alimentari e bevande non sono da considerarsi salutari secondo gli standard internazionali. “Alcune delle nostre categorie e prodotti non saranno mai ‘salutari’, non importa quanto li rinnoviamo“, si legge in dei documenti interni della multinazionale, resi noti dal Financial Times nel 2021. Un problema che certamente non interessa soltanto il gigante svizzero, ma l’intero settore dei prodotti confezionati. E che rappresenta un’inversione di paradigma tragico e preoccupante della nostra società contemporanea. Dove si è passati con una rapidità disarmante dalla concezione del passato di ‘produrre qualcosa di qualità che faccia bene a tutti‘, a quella di ‘produrre e promuovere cibi spazzatura anche se di fatto non fanno bene a nessuno‘.
Prodotti confezionati e il pubblico di massa
Non importa quanto il marketing possa essere geniale nel propinarci la genuinità e l’appetibilità di questi prodotti. Frasi come “ideale per i bambini” o “superlight” non devono trarci in inganno. Bisogna capire profondamente che la stragrande maggioranza dei prodotti confezionati non è e non sarà mai salutare. Il processo industriale alla quale la maggioranza di questi alimenti viene sottoposta comporta necessariamente l’aggiunta di additivi e acidi che nuocciono alla nostra salute. Aumentando il consumo quotidiano di questi cibi, giustifichiamo e alimentiamo un sistema che non guarda alla qualità degli alimenti come a una priorità. Le multinazionali dei prodotti confezionati che producono il più rapidamente possibile, per aumentare i dividendi degli azionisti, hanno bisogno di irretire un pubblico di massa, con buona pace della tutela della salute del consumatore. Che per pigrizia, per vizio, per gola, tende sempre più spesso oggi a cercare rifugio nel consumo di questi prodotti.
Le autorità internazionali e nazionali predisposte nel settore sono alla ricerca di sistemi di valutazione che tutelino e guidino maggiormente la scelta del consumatore. Come il Nutriscore utilizzato in molti paesi d’Europa o lo Health stars rating dei paesi anglosassoni. Ma il risultato purtroppo non è quello sperato. Come dimostra una recente ricerca del George Institute for Global Health, che ha rilevato come molte aziende sono riuscite ad aggirare comunque tali sistemi di valutazione e piazzare dei prodotti confezionati poco sani con punteggi nutrizionali alti. Omettendo ad esempio o sottovalutando intere voci riguardo a sostanze e ingredienti presenti nell’alimento.
La produzione di massa e la qualità della vita
I prodotti confezionati sono figli dei concetti di società di massa e produzione di massa, esplosi nell’era del consumismo. Concetti che molto spesso, anzi quasi sempre, non hanno mai coinciso con la qualità del prodotto. D’altronde è innegabile come la cultura di massa abbia portato ad un inesorabile livellamento della qualità dei beni di consumo per abbassarne il prezzo. Come diceva Gaber, oggi più che la qualità o la verità, “è il numero che conta”. E per quei numeri hanno perso di vista via via parametri molto importanti. I responsabili sono senza alcun dubbio quelle multinazionali che scelgono in nome del numero di non migliorare la qualità del prodotto e, non di rado, ‘arginare’ le regole. Ma i colpevoli siamo noi. Noi che per risparmiare tempo e inseguire le mode, ci abbandoniamo al consumo quotidiano di questi prodotti. Adattandoci e abbassando continuamente gli standard delle nostre pretese.
Intanto la stragrande maggioranza degli studi condotti riguardo il consumo quotidiano di prodotti confezionati non lascia dubbi: sono tra i principali responsabili di malattie croniche tra cui l’infertilità. Forse anziché risparmiare tempo e continuare ad inseguire i numeri, dovremmo rallentare e ritornare a mettere al centro l’esigenze dell’uomo, con i suoi ritmi naturali e le sue necessità. Dovremmo chiederci profondamente quanto sia morale per il pianeta e per l’uomo, sostenere un sistema con un tale tasso di industrializzazione degli alimenti che ci ha portati a standard qualitativi tanto bassi rispetto al passato. Pasolini sosteneva che vi era un importante differenza fra progresso e sviluppo. Quest’ultimo è il potenziamento di una dimensione, mentre il progresso è lo star meglio di una popolazione. Come può chiamarsi progresso un circolo vizioso che nuoce alla nostra salute? Che in sostanza non ha migliorato la qualità della nostra vita, anzi l’ha profondamente condizionata?