Orario di lavoro: dopo la pandemia i ritmi rallenteranno?
La settimana corta in Inghilterra, lo sviluppo umano, le parole di Elon Musk. Tutto ruota intorno allo stress
La pandemia ha fatto scomparire molti posti di lavoro e allo stesso tempo ci ha spinti anche ad una profonda riflessione sui nostri vecchi ritmi lavorativi. Chiusi nelle nostre case, in smartworking, il tempo sembrava all’improvviso essersi dilatato rispetto ai ritmi frenetici a cui ci eravamo tutti completamente assuefatti. Il mondo intero in quel momento ha rallentato e forse per la prima volta ha camminato di nuovo a passo d’uomo.
La tutela della salute dell’individuo e delle persone più fragili è stata per la prima volta posta in primo piano rispetto alle altre nozioni a cui eravamo abituati prettamente numeriche. E così, dopo decenni in cui ci avevano introiettato che il tempo aveva soprattutto un prezzo, abbiamo riassaporato il valore del tempo.
@Gerd Altmann da Pixabay
Da questa nuova, o forse ritrovata, consapevolezza del tempo, arrivano dall’Inghilterra ma non solo, i primi tentativi di un cambiamento nel mondo del lavoro. Che regalino una maggiore dignità e qualità della vita ai lavoratori. Ma come potrebbe cambiare l’economia?
Settimana corta in Inghilterra e il “myway work” in Veneto
Dall’ipotesi di una settimana lavorativa più corta (lunedì-giovedì), all’idea Made in Italy del “myworking”. Il tema del bilanciamento tra vita professionale e privata, è tornato di recente ad essere al centro del dibattito mediatico. Sul tema di recente hanno destato scalpore le ultime dichiarazioni di Elon Musk. Il miliardario patron della Tesla avrebbe posto un ultimatum ai propri dipendenti riguardo lo smartworking: devono ritornare categoricamente in presenza e ai ritmi di una volta, pena il licenziamento. Ritmi che si aggirano attorno alle 40 ore a settimana. Tutto questo proprio mentre invece dall’altra parte importanti multinazionali in Inghilterra, hanno pronto un progetto pilota che vedrà ben 3.300 persone lavorare solo 4 giorni a settimana a parità di stipendio. Le 70 aziende che vi hanno aderito, porteranno avanti l’esperimento per 6 mesi. Al progetto parteciperanno nomi di grandi realtà, come l’azienda hi-tech di WANdisco, passando per le banche digitali di Atom, a importanti nomi del gaming online come la Hutch.
A casa nostra invece, è appena iniziato in Veneto un esperimento innovativo che è stato battezzato “Myway work”. Il progetto porrà al centro l’autogestione del dipendente. Il concetto fondamentale è che non sarà più la quantità del lavoro, ma la qualità al centro del sistema. Cosicché non importerà più quante ore al giorno saremo disposti a collegarci al computer, da remoto o dall’ufficio. Conteranno soprattutto l’adempimento delle proprie responsabilità e il raggiungimento degli obbiettivi prefissati ogni volta dall’azienda stessa. Dunque le famose 8 ore obbligatorie e il cartellino da timbrare ogni mattina non serviranno più. Grazie alle nuove tecnologie siamo perfettamente in grado oggi di consultarci, così come l’azienda può monitorarci, anche in remoto. Secondo quest’ottica dunque questo dovrebbe concedere di diritto al dipendente una maggior libertà di movimento.
La forza lavoro, PIL e sviluppo economico
Immaginare il mercato del lavoro del futuro è complesso. Senza alcun dubbio le tecnologie consentiranno via via in molti campi all’uomo, e in gran parte già lo fanno, di fare a meno della propria presenza fisica. La pandemia ha solo accelerato questo processo, traghettando il lavoro delle aziende nella nuova dimensione dello smartworking. Ma la riflessione a cui ci ha spinti la pandemia è molto più profonda. Non riguarda soltanto le modalità del lavoro, ma i suoi ritmi e lo spazio che ritaglia oggi nella nostra vita. Per usare ancora una parola inglese che rende perfettamente l’idea: work-life balance. La sensazione generale è quella di aver vissuto per decenni in un mondo accelerato. In corsa verso uno sviluppo tecnologico, economico, che non teneva più conto delle esigenze della persona. La forza lavoro diventata sempre più come una merce, affittata per tot ore, ad un prezzo prestabilito, da aziende gigantesche senza volto e senza una nazionalità.
Spread, PIL, trend, quotazioni che salgono e che scendono, che però non hanno regalato spazio a molto altro. Con il risultato che inseguendo la cosiddetta “crescita infinita” abbiamo consumato ufficialmente dal 2017, più risorse della natura di quante il nostro pianeta ne possa rigenerare in un anno solare. Cosa stiamo inseguendo dunque? E per cosa stiamo lavorando? Domande importanti e lecite riguardo il sistema odierno che forse la pandemia ha ritirato fuori. L’economia dovrebbe organizzare le risorse per il bene collettivo. Ma questo bene collettivo sembra essersi deteriorato nel tempo a causa dello sfruttamento forsennato dell’uomo. L’aria pulita, uno stile di vita sano, la preservazione dei mari e di tutte le specie, sono solo alcuni dei beni della collettività che il sistema economico recente nella sua rincorsa frenetica ha mancato di tutelare.
Sviluppo economico e sviluppo umano
Bisogna rallentare dunque e lottare affinché, come un vestito, il mondo del lavoro di domani sia concepito secondo le nostre esigenze e quelle del pianeta. Il paradigma va piano piano invertito, non è l’uomo che deve andare al passo dell’economia, ma viceversa. L’economia non deve solo sfruttare le risorse, umane o naturali, a sua disposizione. Deve anche migliorare e rispettare la vita delle persone e generare benefici per la collettività. La crescita economica non può ridursi nel solo calcolo della produttività. Deve contenere all’interno più parametri. La qualità della vita, la felicità, la distribuzione della ricchezza, il rispetto per l’ambiente, il tasso di occupazione, il livello generale di istruzione. Allo sviluppo economico deve contrapporsi alla pari lo sviluppo umano. Solo allora potremmo davvero parlare di progresso.