Guerra, Stato d’assedio, sono termini che dallo scorso 24 febbraio sono purtroppo sempre più usati. Per comprenderli sempre più pienamente il direttore di VelvetMAG ha intervistato in esclusiva il prof. Duccio Balestracci autore del volume edito da il Mulino Stato d’Assedio.
Il prof. Balestracci, che ha insegnato Storia medievale all’Università di Siena, in questo volume dedicato ad assedianti e assediati dal Medioevo all’età moderna ha esploso la tecnica dell’assedio, sempre presente e centrale nelle guerre dall’età passate. Anche nell’antichità, cioè ben prima del periodo preso in considerazione dal volume. E che non ha risparmiato neppure i conflitti contemporanei come accaduto a Sarajevo – ancora oggi l’assedio più lungo della storia – e, infine, oggi in Ucraina.
“All’indomani di un assedio c’è da ricostruire tutto; si fanno i conti dei morti; si fa il computo delle distruzioni e ci si rende conto che ogni day after è un «Germania anno zero»”. Come si legge nel testo scritto durante il primo lockdown sotto lo scacco del Coronavirus. “Oggi non è poi così diverso. Scrivere di assedi di secoli fa mentre si è sotto assedio da parte di un nemico invisibile è un’esperienza quasi metastorica”.
Dopo il volume della stessa casa editrice Medioevo e Risorgimento l’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento e dei due lavori con Latenza La Battaglia di Montaperti e Il Palio di Siena. Una festa italiana, il prof. Balestracci si cimenta con un particolare aspetto della storia militare. Avvenimenti, storie eroiche e non, tattiche e guerra psicologica, di propaganda e di nervi. Come sempre in guerra storia umana e disumana.
Intervista esclusiva al prof. Duccio Balestracci
Stato d’assedio: possiamo dire che la guerra in Ucraina ha fatto diventare un rigoroso volume sulla storia militare un instant book?
E’ talmente vero che sono arrivate richieste di scrivere in merito o conferenze da più parti: dal Venerdì de la Repubblica ad un incontro nella fiera dei librai a Bergamo. Sembra davvero un instant book, al netto degli aspetti tecnici. Perché la guerra d’assedio indipendentemente dall’epoca storica presenta delle costanti: la fame, la paura e la crisi di normalità. Pur parlando Medioevo ed età moderna sono partito dallo studio di antropologi e sociologi a Sarajevo. Volevo capire quanto era approdato nella contemporaneità. Torna sempre la domanda che si pongono i protagonisti sulla loro normalità, o meglio si chiedevano se lo fossero stati durante le fasi dell’assedio. Ho seguito questo concetto ‘srotolando’ all’indietro il filo alla ricerca degli effetti di questa interruzione drammatica della normalità e il tentativo disperato degli assediati di ricrearla. E nei documenti su Sarajevo si ritrova il racconto delle abitudini legate all’ordinarietà. Come a Genova nel Trecento con la gran quantità di matrimoni celebrati.
La cooperazione tra militari e civili è un tratto della guerra d’assedio?
Sì in grande prevalenza, anche se è accaduto nelle guerre di campagna con soldati di professione che ci fossero truppe cittadine che convivessero con quelle di professione. Bisogna considerare che negli assedi che coinvolgono massicciamente i civili e i cittadini questi si trasformano in soldati che difendono casa loro. E come tali si trovano a negoziare la quotidianeità con le truppe occupanti, spesso di soldati professionisti.
Nel Cinquecento agli albori del diritto di guerra si determina perfino un trattamento diverso dei combattenti in base al loro status: chi assedia riconosce la bona guerra dei soldati professionisti che ad esempio pagano il corrispettivo di un mese di paga – il quartiere – per essere liberati. Mentre al cittadino in armi fatto prigioniero viene applicata la mala guerra, non è un hostis alla latina, ma un bandito. Come i tedeschi bollavano ad esempio le truppe della Resistenza; c’è un film del 1951 Achtung! Banditi! con Gina Lollobrigida che riporta questo concetto fin dal titolo.
Parliamo del ruolo delle donne nella guerra d’assedio
Negli assedi, almeno all’inizio lo status delle donne è ibrido, almeno fino a quando la guerra non termina. Nelle fasi centrali degli assedi invece sono diventate in diverse occasioni delle vere e proprie eroine civiche nel difendere la propria città: vedi Stamira (o Stamura n.d.r.) di Ancona, la più nota Caterina Sforza per aver incrociato Cesare Borgia, o le donne di Siena raccontate da Biagio di Montluc. Finito l’assedio – se hanno scampato il destino della prigionia, come i bambini, e di diventare come spesso avviene da sempre come loro carne da stupro – tornano nel cono d’ombra. Ad essere come ho scritto “soltanto donne“. Questo è stato senza dubbio il capitolo più difficile del libro, quello in cui si deve avere il coraggio di ammettere il coinvolgimento, anche quando si racconta in maniera accademica la storia. Volevo quasi che il lettore capisse che mi stava chiudendo lo stomaco, come nella parte dedicata ai bambini, come “bocche inutili“.
Un’assedio è più guerra di nervi e di propaganda rispetto agli altri tipi di combattimento?
La guerra d’assedio si vince non solo vincendo l’assedio, ma anche convincendo il nemico che ha già perduto e comunque non può vincere, in questo è un eccipiente della guerra tout court. Come stiamo vedendo anche in Ucraina da una parte e dall’altra. A cui aggiungere le armi della propaganda e della controinformazione, allora come adesso. Quello che ora non c’è più invece, e c’era nella guerra medievale e moderna, è la beffa, il gusto di giocare con la morte, con il pericolo. Il bombardiere fiorentino che nell’assedio del 1529-30 che sulle mura di Firenze si cala le brache, mostrando il sedere alle truppe imperiali. O gli episodi che raccontano le tante incursioni per rubare le insegne. L’assedio è una guerra psicologica, che si gioca sui nervi, sulle strategie di logoramento
Dalla propaganda all’informazione: in cosa è cambiato il racconto della guerra?
Nelle modalità del racconto non è cambiato molto. Entriamo nel campo della narrazione – che sceglie il suo modo in base all’epoca, dalle cronache, al giornalismo tout court – nel momento in cui decidiamo di scrivere una storia degli avvenimenti. E forse ancor di più se si tratta di guerra, si sceglie di indossare la veste dei narratori. Ancor di più poi se si tratta di eventi militari, politici, come delle istituzioni. Si diventa un po’ sceneggiatori, si scelgono i ruoli e un punto di vista. Siamo degli scrittori che – non vuol dire si possa scrivere tutto quello che si vuole – devono riconoscere che quella che scrivono è la loro narrazione. D’altronde come sosteneva Gaetano Salvemini: “lo storico che pretende di essere imparziale o è un imbecille o è in mala fede”.
Perché li definisce “storie senza gloria di momenti di gloria“?
Le storie, i momenti senza gloria sono quelle dell’ordinarietà delle guerre d’assedio: sono quelle della fame, della paura, del timore del tradimento interno. Mi hanno affascinato perché di solito non entrano nei libri di storia, o almeno lo fanno solo con i “risultati” dell’assedio. Quello di Siena del 1555 per esempio è “classificato” tra i 10 assedi più disastrosi della storia moderna. Quando entrano le truppe imperiali scoprono che da mangiare sono rimaste solo le pietre e i mattoni, con la popolazione sterminata dalla fame e dalle malattie. Ma possiamo andare in Francia e analizzare quelli ugonotti sempre nel 1573, nelle cui cronache si ritrovano anche i casi di cannibalismo.
Possiamo dire che il Palio a Siena sono 4 giorni di assedio del corpo e dell’anima?
Non lo definirei in prima battuta così, perché ci sarebbe uno stato di quiescenza nel resto dell’anno. Più che un assedio, è un’esplosione parossistica che dura in maniera continuativa. Se poi vogliamo dire che noi senesi siamo talmente pazzi da farci assediare 365 giorno su 365 – 366 negli anni bisesti – da questa cosa che si chiama Contrada, che si chiama Palio, allora in questo caso è un assedio. Ma è un assedio che scegliamo. A cui nessuno di noi vorrebbe mai rinunciare, tanto è vero che averci dovuto rinunciare negli ultimi due anni per la pandemia ci ha fatto stare veramente male. Se è un assedio, ben venga questo assedio.