Adriano Panatta è una delle pochissime leggende del tennis italiano: anzi lui ne racconta almeno due di storie epocali dello sport azzurro. Quella da singolarista capace di vincere gli Internazionali di Roma e nello stesso magico 1976 il Roland Garros. E di essere allo stesso tempo una delle “cinque anime” che si fecero squadra in quello stesso indimenticabile anno e ci portarono l’unica Coppa Davis mai vinta dal nostro Paese.
Raccontare Adriano Panatta giocatore è possibile, ma è davvero fargli solo un torto. E’ stato un grandissimo tennista, il re indiscusso dell’era Open del nostro tennis ad oggi. Ma la parte più affascinante resta l’uomo, anche per chi come me non era neppure nata nel 1976. Un ‘tipo’ che se vai sull’enciclopedia e la voce l’ha scritta uno che ci capisce c’è scritto: “1976 – uomo dell’anno: Adriano Pannata“. Chi lo ha descritto meglio? Guia Soncini: “Uno dei pochissimi casi mondiali di vertiginosamente figo a trent’anni e vertiginosamente figo a settanta; uno che ti fa venire voglia di lanciargli le mutande quand’è arrogante (quasi sempre) e quand’è umile (quasi mai); quand’è esile (nelle immagini d’epoca) e quand’è inquartato (in quelle del presente)“.
Adriano Panatta: “A Roma non si vinceva mai!“. Vale per tutti, ma non per lui
Adriano Panatta è nato a Roma il 9 luglio del 1950, ma è come se sempre a Roma fosse rinato il 30 maggio del 1976. Quindici anni dopo quella che era stata l’ultima vittoria azzurra – di Nicola Pietrangeli, n.d.r. – batte in finale il temibilissimo argentino Guillermo Villas con il punteggio di 2-6, 7-6, 6-2, 7-6. Si laurea campione degli Internazionali d’Italia. Una liberazione, perché come ha dichiarato lui stesso nel documentario Una Squadra: “A Roma non si vinceva mai!“. E quindi chi se non lui poteva cambiare il paradigma? Il segno del destino è forse chiaro fin dal primo turno. Era il 25 maggio e per passare deve annullare ben undici match-point, dieci dei quali in risposta!
La terra rossa è stata la sua superficie: otto dei 10 tornei vinti nel circuito maggiore li ha conquistati sulla terra battuta. Che è ancora record per il tennis italiano, su 26 finali disputate. Nessuno italiano c’è più riuscito anche se l’anno successivo era arrivato in finale Tonino Zugarelli e nel 1978 di nuovo Panatta. Ma ad avere la meglio sono stati in ordine di tempo prima Gerulatis e poi Borg. Ma è riuscito anche nell’impresa di vincere un altro Mille (torneo equipollente, perché sono stati introdotti dopo, n.d.r.) sul cemento indoor di Stoccolma nel 1975.
“Io non avevo paura del biondo…”
Il tennis vive di rivalità, incredibili, epiche, anche queste leggendarie. E’ in fondo questo forse il suo grande appeal, perché spesso è il più forte di tutti a trovare una sorta di bestia nera. Adriano Panatta ha giocato e vinto nell’era di Björn Borg, il tennista che ha cambiato il gioco dell’era Open e quello delle generazioni future. Il padre tennistico dei Nadal e dei Djokovic: “l’attendista“, come lo definisce lo stesso Panatta; “quello che non mi dava fastidio” per questo. “Non potevo essere io il modello da imitare” – spiega lo stesso Panatta in un’intervista a Panorama, puntualizzando come non si possa imitare il talento puro – “Più facile rifarsi a uno come Björn Borg… Ma per condannarsi a quelle dosi di lavoro ci voleva appunto la testa di uno come Borg. L’italiano è diverso, ha bisogno di divertirsi. Prendi due ragazzini, uno svedese e un italiano, mettili davanti a un muro a palleggiare: dopo un quarto d’ora l’italiano si è già stufato, lo svedese dopo sei ore lo devi fermare”.
Da Roma a Parigi: Panatta in formato ’76
Ma Adriano Panatta in quell’anno di grazia che è stato il 1976 conosceva la formula. La settimana successiva, da campione degli Internazionali si presentava per l’ottava volta al Roland Garros. Come a Roma anche qui ha rischiato di uscire al primo turno. Non andrà così; dirà più volte che era tutto scritto. Il match da ricordare è quello dei quarti: di fronte proprio l’allora n.3 del mondo Borg, testa di serie n° 1 e campione in carica del torneo. Panatta gli inflisse la seconda sconfitta in carriera al Roland Garros, dopo 18 vittorie consecutive. Nessun altro giocatore lo avrebbe più battuto su quel campo: erano nell’aria i cinque titoli consecutivi. In finale superato lo scoglio scandinavo Panatta si è imposto con facilità su Eddie Dibbs con il punteggio di 6-3, 6-1, 7-5. Poca importano le Superga portate per errore da Bertolucci a Berlino… Era scritto che fosse il terzo italiano nella storia dopo De Stefani e Pietrangeli (in era amatoriale) a vincere Parigi. Sale al n.4 della classifica mondiale: anche qui, ancora oggi un record di Adriano Panatta.
Panatta + Bertolucci: quando il doppio gioca come un uomo solo e pure forte
Le più belle storie d’amore direbbe Nanni Moretti sono quelle “dove si cresce insieme, si cambia insieme“. Per scrivere delle donne e delle conquiste di Panatta ci vorrebbe soprattutto per il fascino incredibile, da ambassador anzi tempo e l’aspetto da attore hollywoodiano, forse un’altra voce dell’enciclopedia. Cercatevi la cronaca rosa del tempo: impazzava. Non me ne voglia la moglie di diritto, ma la moglie di fatto la incontra a Cesenatico poco più che 12enne. Si chiamava Paolo Bertolucci. Da lui soprannominato anche “la valigia“, che ha avuto il talento (oltre quello tennistico del suo braccio d’oro, specie di rovescio), la sopportazione e l’intelligenza di esaltarne il genio tennistico. Giocherà il doppio con altri, ma come con Bertolucci nessuno mai. Saranno 18 i titoli di specialità con due perle. Quella da doppisti e basta, arriva nel 1980 quando a Monte Carlo, regolano John McEnroe e Vitas Gerulaitis in tre set. E poi c’è quella che entra appunto nella leggenda.
Siamo naturalmente nel 1976. L’appuntamento è con la terza finale di Coppa Davis disputata dall’Italia. Si giocava in un clima surreale – se non lo avete visto recuperate per il vostro bene il documentario Una Squadra – dal 17 al 19 dicembre in quell’Estadio Nacional de Chile simbolo della violenza di Pinochet. Il primo punto lo porta Barazzutti su Jaime Fillol; Panatta vince il suo primo singolare. A chiudere la pratica ci pensano loro due, Bertolucci e Panatta, giocando come un uomo solo: 9-7 al quarto. I quattro moschettieri guidati da Nicola Pietrangeli – capitano non giocatore – conquistano l’insalatiera. Ci riproveranno per tre volte a fila fino al 1980, nelle tre finali perse, ma non era più il 1976: l’anno in cui Panatta cambiò per sempre il tennis italiano.