Draghi o non Draghi-bis? Questo è il dilemma di questa estate rovente del 2022. In tutta Italia si sono mobilitate in questi giorni varie categorie e una discreta fetta di società civile, per manifestare il proprio scontento e fare in modo che il Premier resti al suo posto.
Secondo questa parte del Paese, l’addio di Draghi sarebbe una catastrofe. L’Italia perderebbe credibilità e prestigio nel contesto internazionale, e ripiomberebbe nel caos di un Parlamento ad oggi percepito come inaffidabile e inconcludente.
Eppure siamo al limite dell’assurdo. In politica nessuno dovrebbe essere indispensabile, ma dovrebbe essere il gruppo ed il progetto politico a fare la differenza. Quanti De Mita, Andreotti, Fanfani, Craxi, sono stati spodestati in passato dai propri “colleghi” di partito a seconda del momento politico? Oggi invece con un Parlamento eletto dal popolo siamo arrivati al punto di “tirare la giacca” e pregare un uomo solo di restare? Finanche a temere delle elezioni?
Draghi e le possibili elezioni anticipate
In momenti di emergenza si sa che accadono cose straordinarie e che la priorità diventa superare la tempesta. Ma il fatto che un Paese democratico oggi rigetti l’idea di elezioni anticipate in grado di restituire un Parlamento più vicino al popolo, può essere un campanello d’allarme. E’ lampante l’implicita ammissione di una grossa fetta della popolazione – guidata dalle élite delle categorie lavorative – di riporre maggiore fiducia in un tecnico della politica piuttosto che i rappresentati parlamentari liberamente eletti. Eppure in una democrazia il consenso viene legittimato dal voto elettorale.
Un eventuale partito di Draghi potrebbe così passare attraverso il vaglio delle urne. Ma spesso nel nostro Paese i tecnici si sentono o si pongono al disopra delle leggi della politica stessa. Come chirurgi a servizio del “Paese malato”, che per questo non hanno bisogno della legittimazione popolare elettiva. Ma perché Draghi, se è avvertito come il paladino del popolo, non si presenta alle elezioni? Perché non crea un partito con una classe dirigente tutta nuova? In nessuno delle vicine democrazie europee si è rinviato il momento delle elezioni perché in emergenza. Né in Francia, né in Olanda, né tantomeno in Germania, nonostante sia presente anche là, l’ombra di un’avanzata anti-sistema.
Il consenso di “Super Mario“: il ruolo dei media e l’ombra della Meloni
Sono in molti a considerare che la prossima Legge di Bilancio, il DDL Concorrenza, e le scelte internazionali, ricadano nelle mani di un premier apolitico, non eletto, sia anti-democratico. Con il richiamo costante ai sondaggi – molto lontani dal Parlamento attuale, che fotografa la situazione politica di quattro anni fa. Molte scelte dell’esecutivo Draghi hanno provocato proteste e scioperi in tutto il Paese: dai tassisti agli stabilimenti balneari, passando per la questione della distribuzione dell’acqua. Con i Sindacati contro il decreto. E allora il consenso popolare di Draghi è più mediatico – nel senso di amplificato dal sistema informativo – o reale? E se fosse alimentato, in primis dalla preoccupazione della situazione politica internazionale; ed in seconda battuta dal timore dell’avanzata del partito della Meloni?
Appoggiarsi al lustro e all’esperienza di Draghi apparirebbe perciò lo scenario più confortante. Ma Draghi sceglierà la via del consenso popolare elettivo? Si presenterà alle elezioni? Oggi il Governo è ostaggio di partiti – o parti di essi – capaci di interferire come oggi il M5S a guida Conte. E sempre di più il Parlamento appare lontano dal rappresentare il volere del corpo elettorale e in fondo marginale ratificatore. Lontano da un passato, anche, ma non solo nella Prima Repubblica, quando il premier – e il Parlamento che lo esprimeva – aveva pieno consenso maggioritario e quindi un chiaro mandato del popolo.