E così giunge al termine anche il terzo governo di questa Legislatura. Non ci sarà un Draghi bis, ed il Paese andrà al voto probabilmente in autunno – il 2 ottobre, la data più attesa – dopo quella che Enrico Letta ha definito “la giornata della follia”.
Il governo Draghi che doveva traghettare il Paese oltre l’emergenza sanitaria, preparare il PNRR, ridare lustro internazionale e stabilità politica all’Italia, è precipitato clamorosamente a pochi mesi dalla scadenza sanitaria.
Dalla solidarietà nazionale che doveva unire questo Governo, nella giornata di ieri in Parlamento si è assistiti ad un vero e proprio tutti contro tutti. Dalle stoccate di Renzi al Partito Democratico, per aver sostenuto in questi anni l’alleanza con il Movimento Cinque Stelle. Il partito che più di tutti oggi porta il peso di aver avviato questo fallimento politico. Alle invettive e il voltafaccia della Lega e Forza Italia che vogliono correre alle elezioni, perché sicure di vincere ora e accusano il governo Draghi di non difendere gli interessi reali degli italiani. Ma di abbandonare, come nel caso del DDL concorrenza, settori strategici del Paese a multinazionali come Uber che non pagano le tasse. Ma che cosa è successo davvero? Che cos’è che non ha funzionato sin dall’inizio?
I moventi del crollo del governo Draghi e del Conte bis
Il governo Draghi è crollato teoricamente per la ripicca di Giuseppe Conte nei confronti del Premier, che si vocifera lo volesse fuori dalla guida del partito. Inoltre il Movimento Cinque Stelle ormai spaccato in due, si era ritrovato svuotato della sua influenza politica in Parlamento. Abbandonare il Governo per andare all’opposizione era dunque l’unica scelta possibile per tentare di recuperare quell’immagine anti-sistema che tanta fortuna aveva portato nelle scorse elezioni politiche. In realtà però dal gesto irresponsabile e opportunista dei grillini, tutto poi è precipitato come una valanga. E a far crollare il governo Draghi sono stati in sostanza gli stessi moventi del crollo del Conte bis: l’assenza in Parlamento di una vera maggioranza politica. Dove nessun un uomo da solo può sperare di fare la differenza. Per di più quando viene estratto fuori dal contesto parlamentare.
La verità è che con una maggioranza di Governo agli antipodi dello scacchiere politico. Qualsiasi tecnico superpartes o deus ex machina, non può sperare di durare a lungo. L’errore di questo Parlamento è stato questo sin dall’inizio e ci si è girato attorno per tutta la Legislatura. Sia per il Conte primo che per il Conte secondo, non abbiamo fatto altro che sentire ripetere alle Camere frasi come “il potere deve tornare al Parlamento” “le decisioni vanno discusse in Parlamento”. In sostanza alla fine della giostra questo Parlamento, che non si è assunto in primis lui stesso le proprie responsabilità nell’eleggere un nuovo presidente della Repubblica, e che non ha trovato mai un accordo su un premier più politico. Ha riposto per ben tre volte nelle mani di un mediatore la gestione delle varie anime politiche. Ma poi prontamente, sentendosi spodestato della propria centralità, gli ha tagliato la testa. Riconoscendolo come un corpo estraneo.
Il Parlamento dei partiti irresponsabili (quasi tutti)
Al di là della responsabilità in Parlamento non ci sono mai state alleanze solide. Come storicamente lo sono state anche quelle più variegate – ma fondate solidamente sul potere – come all’epoca del “pentapartito”, portatore all’epoca di visioni – e progetti – ben diversi dalla maggioritaria DC, al laico PSI, con il supporto dei Liberali, dei Repubblicani. Com’è possibile allora che oggi che quelle ideologie sono svanite, sia divenuto impossibile collaborare? Trovare una linea politica di compromesso che faccia gli interessi del paese.
Il Parlamento tornerà ad essere ridefinito dagli elettori, che magari dovranno porsi a priori la domanda sull’identità del Premier. Chi sarà il nuovo capo del Governo se voto Tizio, e se voto Caio? Perché la lezione appresa da questa Legislatura è la stabilità non è garantita da un premier super-partes. Costituzionalmente è sempre il Presidente della Repubblica ad indicarlo, ma l’elettore deve andare oltre la mera propaganda. Tornando a votare chi possa dare un’indirizzo politico al Paese.