È cominciata con un baciamano a una donna indigena la visita di papa Francesco in Canada. L’aereo del Pontefice, decollato il 25 luglio da Roma, è atterrato all’aeroporto di Edmonton, capoluogo della provincia occidentale dell’Alberta.
Alla discesa dal velivolo, Francesco ha ricevuto il saluto della governatrice generale, Mary Simon, e dal primo ministro, Justin Trudeau. Ma all’aeroporto Bergoglio è stato accolto anche dai membri di una tribù indigena di nativi. E ha voluto salutare una donna baciandole la mano. Un gesto che, nel linguaggio del Pontefice significa molto.
La preghiera di Francesco
“Cari fratelli e sorelle del #Canada, vengo tra voi per incontrare le popolazioni indigene. Spero che, con la grazia di Dio, il mio pellegrinaggio penitenziale possa contribuire al cammino di riconciliazione già intrapreso. Per favore, accompagnatemi con la #preghiera“, aveva scritto Francesco in un tweet alla partenza per il Canada. Quello di papa Bergoglio è il 37° viaggio internazionale del suo pontificato, che porta a 56 i paesi che ha visitato in 9 anni. Ed è il quarto viaggio di un Pontefice in Canada, dopo i tre di Wojtyla, nel 1984, nel 1987 e nel 2002.
Il messaggio degli aborigeni
I capi delle comunità autoctone First Nations, alla vigilia dell’arrivo in Canada di papa Francesco, l’hanno detto forte e chiaro: “È un momento storico“. Una fase “importante per i sopravvissuti del sistema scolastico residenziale e del danno che la Chiesa cattolica ha causato. Siamo stati colpiti tutti da questo sistema, direttamente o indirettamente. Queste scuse riconoscono quanto abbiamo vissuto e creano un’opportunità per la Chiesa di riparare ai rapporti con i popoli indigeni in tutto il mondo. Ma non finisce qui: c’è molto da fare. È solo un inizio“.
Francesco, infatti, si è recato in Canada per chiedere scusa di una lunga storia di sopraffazioni e abusi patiti dai popoli indigeni anche a causa della Chiesa cattolica. Le parole del Gran Capo George Arcand Jr., distribuite alla stampa dalla Conferenza episcopale canadese, mostrano quanto sia ancora laborioso e difficile il percorso di “guarigione e riconciliazione“. Al centro del problema ci sono gli orrori del sistema delle “scuole residenziali“. Una realtà che la Chiesa ha sostenuto a lungo dall’Ottocento, nell’ambito di un programma governativo di assimilazione delle popolazioni aborigene.
Strage di bambini
Si stima che, a partire dal 1883 fino agli anni ’60 del secolo scorso – ma l’ultima scuola fu chiusa solo nel 1996 -, circa 150mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit siano stati obbligati a frequentare una delle 139 scuole distribuite in tutto il Canada. In questo modo strappati alle loro famiglie, alla loro lingua e cultura, per essere diventare piccoli cristiani. Si sono verificati abusi di ogni tipo – anche sessuali -, reclusioni e percosse. Ma anche malattie, fame, freddo. Almeno 4mila di questi bambini hanno trovato la morte. Per questo papa Francesco si è recato in Canada. Ma, come dichiarato dal rappresentante degli aborigeni, “è solo l’inizio“.