Rapporti Cina-USA: la “guerra latente” che sta già cambiando il mondo
Il pericolo di una sudditanza UE verso la Cina, l'attacco economico-politico del Dragone agli USA
Cresce ancora la tensione tra Stati Uniti e Cina intorno a Taiwan. L’elemento di rottura attuale è sotto gli occhi di tutti: l’arrivo sull’isola della speaker della Camera dei Rappresentanti Usa, Nancy Pelosi. Pechino in queste ore “mostra i muscoli” e lancia diverse esercitazioni militari lungo tutta la sua costa mediorientale, mentre gli Stati Uniti schierano le proprie unità della Flotta del Pacifico. A terra invece si susseguono immagini di carri armati di Pechino verso la provincia di Fujian.
Aumentando le tensioni e le preoccupazioni taiwanesi su un’imminente azione di forza da parte cinese. Le relazioni Cina-USA non potrebbero essere delle peggiori, aldilà della Guerra in Ucraina, che ha influito non poco a riscaldare le tensioni attorno al “caso gemello” di Taiwan. I due giganti economici hanno in realtà raffreddato i loro rapporti già molto prima. E la “guerra latente”, prima economica ed oggi sempre più politica, fra le due superpotenze, oggi si fa sempre più seria. Ma l’Occidente ne è davvero consapevole?
Lo scontro economico-politico fra USA e Cina: la guerra al dollaro e al monopolio americano
Il conflitto reale in terra ucraina ha spaccato l’Europa lungo una dicotomia politica tra atlantisti e filoputiniani. La “guerra latente” – forse di un domani neppure tanto lontano – si combatte(rà) tra USA-Cina e non dovrebbe farci dormire sonni affatto sereni. E’ lo scontro economico-politico di questo secolo. La Cina, complice anche una forte attenzione mediatica dell’Occidente sul conflitto russo-ucraino, silenziosamente sta continuando a muovere le proprie mosse. Passata clamorosamente in sordina è infatti la notizia di questi giorni riguardante la soglia di debito pubblico americano detenuta oggi in mano cinese. Il Dragone era storicamente il secondo detentore del debito pubblico americano. E a sua volta gli USA erano il primo mercato importatore di beni cinesi. Questo abbraccio economico fu possibile grazie all’apertura negli Anni ’70 del Presidente Nixon nei confronti dell’allora Repubblica Cinese di Mao Zedong. Che aprì le porte del mercato occidentale agli investimenti e i beni cinesi.
Oggi però quel matrimonio economico USA-Cina cammina inesorabilmente verso un divorzio. Il possesso di debito americano in mano cinese è sceso del 9% in un anno, il controllo di Pechino è calato per la prima volta dal 2010 sotto la quota di un trilione di dollari. Ed il trend è in continua decrescita. Un dato simbolico e politico che non lascia più dubbi riguardo il processo di separazione in atto fra le due superpotenze. Le quali sono entrate ufficialmente in una dinamica competitiva. La Cina sta vendendo difatti gradualmente i titoli di Tesoro Americano per difendere la propria valuta, lo yuan. E il sogno monetario del Dragone non è un mistero: nel medio-termine render lo yuan una moneta rifugio, quello della seconda economia mondiale, alla pari del dollaro americano. Non a caso più volte il presidente Putin ha minacciato di vendere il suo petrolio a paesi dell’Indo-Pacifico in yuan. Proprio per rafforzare la moneta cinese rispetto a quella statunitense, moneta ufficiale del greggio per antonomasia, ma che detiene il primato assoluto negli scambi commerciali dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
La Cina in Europa: l’ombra cinese dietro la svolta ecologica
E questa “guerra latente” dovrebbe preoccupare almeno un po’ l’Europa, oggi concentrata nella caccia ai filoputiniani, specie nel nostro Paese che vive le prime schermaglie di campagna elettorale per le politiche. Quali sono i rapporti tra l’Italia e la Cina. Il primo obiettivo della Repubblica del Dragone fuori dal suo territorio è la penetrazione economica-commerciale nel vecchio continente. Non a caso l’UE è oggi la prima destinazione degli investimenti cinesi, con ben 164miliardi di dollari, a fronte dei 103 miliardi investiti negli Stati Uniti. La Cina ormai, grazie alla globalizzazione, è riuscita ad intrufolarsi nelle catene di produzione strategiche dell’Occidente. Che con la delocalizzazione portata avanti dalle imprese, ha consegnato via via fette di mercato in mano cinese. E oggi vuole rendersi indispensabile nella transizione dell’UE verso la rivoluzione ecologica.
Nel Green Deal europeo difatti aleggia lo spettro cinese. Solare, eolico, auto-elettrica sono tutti settori in cui l’Occidente ha scarsa autonomia ed il Made in China domina. Si stima che su dieci vetture elettriche vendute al livello globale sei oggi sono state prodotte in territorio Cinese. Molte case d’auto straniere come Tesla, Bmw, Volvo, producono già auto elettriche in Cina. Ma non solo, nel settore dei pannelli solari, nel 2020 circa il 75% di quelli importanti in UE arrivava proprio diretto dal Dragone. Con il piano Repower Eu la Commissione Europea aveva preposto un piano da circa 210 miliardi per rimediare alla dipendenza dalla produzione della componentistica cinese. Investendo per la proliferazione di aziende europee nel settore. In questi giorni però questo piano ha incontrato il “no” della Corte dei Conti europea. La motivazione sarebbe la mancanza di fondi controllati effettivamente dalla Commissione, che secondo il piano sarebbero in realtà nei fatti solo 20 miliardi. Mentre i restanti, dipenderebbero dalle singole scelte dei paesi Membri riguardo i prestiti che riceveranno dal Recovery Fund.
L’Europa verso il declino
Un ennesimo duro colpo dunque alla battaglia verso l’indipendenza economica e politica dell’UE, che appare oggi sempre più lontana. La Cina non aspetta altro che un passo falso, per inghiottire un vecchio continente che non trova coesione sui temi più importanti. E nelle questioni politiche che pesano di più. L’indipendenza energetica dalla Russia rischia di portarci verso la dipendenza, e sudditanza, della componentistica elettrica cinese. A nulla serviranno piogge di soldi come il Recovery Plan se queste non saranno seguite da piani politici a lungo raggio, che abbiano a cuore gli interessi dell’Europa intera. Oggi la globalizzazione si sta avviando verso la sua fine. Da più parti ormai si parla di ingenti somme di denaro pubblico da stanziare per la proliferazione di aziende nazionali che contrastino l’avanzata cinese nell’hi-tech. Se all’Europa burocratica ed economico-finanziaria non si sostituisce presto un vero animale politico, con un esercito comune, una sola politica estera, una politica energetica, una politica di bilancio. L’UE tramonterà inesorabilmente.