Coco Chanel, simbolo della rivoluzione negli abiti femminili
La storia della donna che dopo aver stravolto la moda del '900 si trasforma in un'icona tramandata fino ai giorni nostri
Qualcuno la conosce semplicemente come Chanel, qualcun altro con il nome d’arte Coco Chanel, pochi forse conoscono il suo vero nome: Gabrielle Bonheur Chanel. Ma al di là dell’appellativo, una cosa oggi è certa: che questa donna, a tratti controversa ma sicuramente geniale, è un’icona nel mondo della moda e del femminismo.
Nasce a Saumur il 19 agosto del 1883. Le sue origini sono umili tanto da portarla a rinnegare parti della sua infanzia come l’abbandono da parte del padre. La morte prematura della madre, infatti, farà crescere Gabrielle nel convento delle suore del Sacro Cuore. Ma quella vita austera, fatta di abiti bianchi e neri, fonda il germe di quella personalità che darà vita a Coco Chanel.
Oggi in tanti la considerano simbolo dell’alta moda e del lusso. Ma, quasi per paradosso, Gabrielle Bonheur Chanel si batte per un abbigliamento che sia accessibile a tutte le donne. Tanto moderna e all’avanguardia, oggi la possiamo considerare una sorta di precursore dello stile androgino, che libera le donne dai dolorosi corsetti, per concedere loro il confort dei pantaloni e i maglioni da uomo.
Come nasce Coco
Una vita da romanzare, una carriera da stimare e un patrimonio che ancora oggi sembra inestimabile. Coco Chanel è stata più di un simbolo della rivoluzione negli abiti femminili, è stata lei stessa rivoluzione e per questo icona anche di quel femminismo che desidera liberarsi dalle convenzioni. Compiuti 18 anni è libera di scappare dal convento e iniziare a vivere la sua vita. Impiegata come commessa nella bottega Maison Grampayre a Moulins, è anche cantante in un caffè. Ed è da questa seconda professione che deriva il nome d’arte che l’accompagnerà per sempre. Non è dato sapere quanto ci sia di leggenda in questa storia, ma come ogni versione romanzata che si rispetti, ci piace pensare che fu dopo aver intonato Qui qu’a vu Coco? che Gabrielle Bonheur divenne Coco Chanel.
Ed è in un caffè che avviene uno dei grandi importanti incontri della sua vita: Étienne de Balsan, figlio di imprenditori tessili, che la invita a trasferirsi nel suo castello a Royallieu. La loro relazione, non ufficiale, dura per sei anni e in questo periodo Coco riceve dal suo amante il primo finanziamento per aprire il primo negozio di cappelli. Le donne li adorano e Chanel può, grazie alla grande richiesta, trasferirsi a Parigi. È il 1914 quando apre le sue prime boutique ed è proprio durante la Prima Guerra Mondiale che la nuova moda rivoluzionaria di Coco Chanel spopola tra le donne del primo ‘900.
La rivoluzione di Coco Chanel
Gli uomini sono al fronte e per le donne l’esigenza di essere più comode per potersi destreggiare nei mestieri è fondamentale. Chanel interpreta questa esigenza e, indossando per prima lei stessa i maglioni e le camice dei suoi uomini, crea un abbigliamento più confortevole per le donne. All’avanguardia Coco Chanel libera la moda dai concetti retrogradi di corsetto e crinolina. Controcorrente, libera nello spirito e nell’animo evade da quella ricerca di equilibrio estetico malsano per confluire nella libertà delle forme semplici e morbide. Libertà è la parola che ritorna, parlando di questa icona indiscussa della moda, perché non si lascia indebolire dalle costrizioni e piuttosto le sfrutta per abolire le ‘gabbie’ dei tempi.
La vita di Chanel fu piena e se nella moda si erigeva ad icona tra i contemporanei, nella vita sentimentale si nutriva di amori intensi e difficili. Dopo Balsan, infatti, Coco ebbe un altro grande amore, forse il più importante di tutti. Era Arthur Edward “Boy” Capel che finanziò le due boutique a Deauville nel 1913 e a Biarritz nel 1915 (finanziamento che Chanel riuscì a restituire ben presto). Ma sebbene i due si amassero moltissimo, Capel fu costretto a sposare una donna inglese, Lady Diana Wyndham. Capel morì un anno dopo in un tragico incidente d’auto, Chanel ne fu devastata ma questo non spense la sua verve rivoluzionaria nella moda.
Dal profumo al tubino iconici
Nel 1920 apre la sua prima boutique a Parigi al n.31 di Rue de Cambon. Nello stesso periodo crea il suo primo e celebre profumo, lo Chanel N.5. Si tratta di una fragranza senza tempo, resa ancora più celebre da Marylin Monroe, ed ancora oggi considerata una delle migliori mai concepite. A metà degli Anni ’20 nasce quello che possiamo definire il suo capo-simbolo, le petit robe noir: il tubino nero. Lo stesso iconico che, in qualche modo, Audrey Hepburn ci propone in Colazione da Tiffany. Coco Chanel s’ispira alle impiegate e alle commesse parigini e ai loro abiti neri con colletto e polsini.
Con il tubino nero Chanel non crea solo un capo dall’eleganza indiscussa e che, come si dirà più tardi, non deve mai mancare nella valigia, ma crea un modello capace di rendere le donne uguali, senza differenze di classe. E lo fa con immenso stile, seguendo il suo credo: “La moda passa, lo stile resta“. E questo concetto lo ribadiscono ancora oggi tanti modelli simbolo creati dall’artista parigina, un esempio fra tanti la borsa Chanel 2.55, ancora oggi riproposta, oltre che plagiata da tanti.
Chanel insostituibile e unica
Tuttavia, come succede a tanti di coloro che raggiungono il successo, sono molti i detrattori che, dopo il suo ritiro dalla scene dopo la Seconda Guerra Mondiale, la vorrebbero sconfitta. Ma Coco Chanel dell’insuccesso non ne fece mai motivo di resa, anche quando dovette ‘scontrarsi’ con gli emergenti come Christian Dior. È il ’54 quando la ‘regina’ Chanel torna nelle scene e fa sfilare il suo tailleur in maglia indossato da molte donne in tutto il mondo, Jackie Kennedy compresa, che lo rese drammaticamente iconico nel giorno dell’assassinio del marito JFK.
Gabrielle Bonheur si spegne il 10 gennaio del 1971 nella sua suite all’Hôtel Ritz di Parigi all’età di 87 anni. Come una leggenda se ne va in silenzio, senza scalpore o clamore, consapevole però di aver lasciato un’eredità grandiosa e di aver cambiato per sempre la moda e la concezione del corpo femminile. Perché del resto, parafrasandola, non resta che dire: “Per essere insostituibili, bisogna essere unici“.