Mario Draghi, che oggi festeggia 75 anni, è stato senza alcun dubbio un protagonista indiscusso di quest’ultima travagliata Legislatura. In un Parlamento sfaldato, frammentato, litigioso al punto da non essere in grado di esprimere alcun premier politico, come di accordarsi su un nuovo presidente della Repubblica.

Draghi ha risposto alla chiamata dei partiti che si sono appellati alla sua esperienza inconfutabile. Ex presidente della BCE, ex direttore generale del Tesoro e della Banca d’Italia, vice-chairman della banca d’affari statunitense Goldman Sachs, senza ombra di dubbio possiede un curriculum impeccabile. E una conoscenza tecnico-finanziaria sopraffina. Un sapere indispensabile oggi se si spera di voler mettere mano al sistema economico nell’era della globalizzazione. 

@ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Oggi alcuni partiti sperano di poter riattingere presto a questo sapere, e promettono ai cittadini un Draghi bis. Altri ancora hanno coniato la locuzione agenda Draghi per dare un nome a questo indirizzo politico. Anche se la disponibilità del premier, per il futuro, non è chiara. Ma aldilà della possibilità di un Draghi bis o meno, vale la pena cercare oggi di raccontare profondamente cos’è il fenomeno Draghi. Limiti e vantaggi della sua leadership per il nostro Paese.  

Gli obbiettivi trasformati in successi di Mario Draghi

Attorno all’operato di Draghi ruotano alcuni degli episodi più importanti della storia del nostro Paese. Fu proprio lui a portare avanti le privatizzazioni del sistema economico italiano degli Anni Novanta. Come fu ancora lui, in quanto presidente della BCE nel 2012, a salvare il nostro Paese, e non solo, dalla speculazione finanziaria contro l’Eurozona. Oggi è ancora Draghi, ben cosciente dei difetti del mercato energetico dell’UE, il promotore di due delle opzioni più congeniali per frenare l’impennata dei prezzi del gas in Europa. Opzioni come il price cap e quella di un aggiustamento dei meccanismi del mercato energetico, che vedono oggi il prezzo dell’elettricità legato a quello del gas: il cosiddetto decoupling. 

@ANSA/PRESS OFFICE CHIGI’S PALACE/FILIPPO ATTILI

La lungimiranza di Draghi si è confermata senza alcun dubbio preziosa e puntuale sulle questioni macroeconomiche che affliggono non solo l’Italia, ma l’Europa intera. Le sue idee neoliberiste hanno permeato l’orientamento dei decreti che hanno caratterizzato via via il suo anno di governo, come il DDL concorrenza. Che prometteva e promette di liberalizzare alcuni settori sfuggiti alle liberalizzazioni degli Anni Novanta, come quello dei balneari e quello dei trasporti. Ha poi aggiunto di voler raggiungere entro gli ultimi due mesi di governo rimasti, quanti più obbiettivi possibili. L’idea generale che esporta Mario Draghi è semplice. Garantire la concorrenza, dove ancora poco regolamentata, adottando le direttive europee, in tutti quei settori in cui i vari governi passati hanno rimandato via via con tattici escamotage, in chiave meramente elettoralistica e non a vantaggio del Paese.

La visione economica draghista

La modernizzazione e lo sviluppo economico passano inevitabilmente per Draghi attraverso la cura neoliberista. Che affonda le sue radici negli Anni Ottanta: il sistema economico occidentale dominante degli ultimi trent’anni. Dopotutto lui proviene e rappresenta quegli ambienti tecnico-finanziari che hanno costruito pezzo per pezzo l’attuale sistema della finanza globalizzata. Con la Politica inerme nei confronti dell’esorbitante potere dei mercati e delle banche, che oggi la neoliberalizzazione ha mitizzato.

La pandemia e la guerra in Ucraina hanno evidenziato l’importanza del controllo di certe catene di approvvigionamento essenziali, che l’Europa ingenuamente, ha smistato in giro per il mondo. A favore di un mercato globalista spregiudicato che ci ha lasciato senza materie prime. Il miglior calcolo economico si ritrova nudo rispetto alla forza di ragioni e questioni sociali –  specificità dei territori, esigenze particolari delle comunità – che solo una visione politica può sintetizzare. Che attualmente il premier sembra non avere, o non ha ancora mostrato. 

L’Italia priva di una politica industriale

L’Italia, più che per le privatizzazioni, langue da anni dell’assenza di una seria politica industriale. Non basta la liberalizzazione dei settori per incentivare lo sviluppo economico di un paese. Lo dimostra il precipitare da quarta a settima potenza mondiale. Servono scelte coraggiose e lungimiranti che inseguano obbiettivi strategici, delineati via via dalla visione politica del futuro dei governi in carica. Senza ricercare la guida di un deus ex machina, spesso per affibbiare la colpa in campagna elettorale. Cercare all’esterno il capo del governo mostra la debolezza del sistema politico tutto, da cui dipende anche la fiducia ondivaga dei cittadini che si polarizzano ad ondate da questa o quella parte per tornare indietro alla tornata successiva. O peggio non votare per nulla. Tutta l’Europa oggi lamenta un grande vuoto di personalità politiche di spicco. Dobbiamo iniziare a chiederci evidentemente il perché.