Gli USA verso l’autarchia tecnologica: la crisi della globalizzazione
Investimenti nella produzione nazionale di microchip e blocco dei semi-conduttori verso la Cina
Quando si usa il termine autarchia, inevitabilmente la nostra mente viaggia verso numerosi secoli addietro. Mai e poi mai assoceremmo questo termine a un Paese, come gli USA, che più di tutti difende e sponsorizza la globalizzazione e il libero mercato.
Eppure, come spesso capita, un conto è il “marketing politico”, un altro sono poi gli affari di Stato e la geopolitica mondiale. La guerra in Ucraina sta accelerando un processo di de-globalizzazione a cui forse prima o poi saremmo inevitabilmente giunti.
I governi oggi ritornano a mettere mano all’economia, e a immettere soldi pubblici per difendere l’indipendenza tecnologica/economica del proprio paese dalle ingerenze straniere. Il calcolo politico ritorna a prevalere su quello meramente economico. Come per alcune nazioni non ha mai smesso di essere. E Washington ora punta all’autarchia tecnologica, almeno nella produzione di microchip. Forse la globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi sta per tramontare.
L’amministrazione Biden annuncia il Chips Act e blocca le forniture di semiconduttori alla Cina
L’amministrazione Biden ha annunciato pochi giorni fa il Chips Act, un piano da 52 milioni di dollari a sostegno della produzione nazionale di microchip. Sul punto però il Presidente americano è stato chiaro: qualunque azienda conseguirà l’accesso ai fondi dovrà impegnarsi a non costruire in Cina strutture tecnologiche all’avanguardia per almeno 10 anni. Ma non solo, il dipartimento del Commercio statunitense introdurrà a breve nuove regole per vietare le forniture agli stabilimenti cinesi di semiconduttori avanzati.
Un inasprimento che potrebbe essere formalizzato entro ottobre, ma che nei fatti è già stato attuato. Già nel mese scorso difatti il dipartimento del commercio USA avrebbe comunicato alle aziende Nvidia Corp e Advanced Micro Devices, di interrompere le spedizioni di diversi chip per l’intelligenza artificiale in Cina, a meno che non ottenessero specifiche autorizzazioni dal governo.
Hi-tech, scontro USA-Cina: il ruolo di Taiwan
In realtà dietro l’immagine della globalizzazione, si nasconde come sempre nella storia, la guerra economica fra le superpotenze che lottano per accaparrarsi per prime le materie prime più strategiche all’economia mondiale. I semiconduttori ad esempio, sono i materiali più utilizzati nell’ambito della microelettronica per la creazione di chip, circuiti, componenti di ogni device che sia necessario inserire all’interno di macchinari. Dal computer allo smartphone, fino ad automobili e altro ancora. Sono perciò una sorta di “super-materia prima” alla base della supply chain dell’economia più avanzata, preziosa quanto o forse più del petrolio. Attualmente a spartirsi le fasi in questo ambito sono Cina, USA, Sud Corea, e dulcis in fundo Taiwan.
Proprio quest’ultima, al centro della contesa sull’influenza tra cinesi e americani. Una partita strategica che l’America ha voluto confermare con la visita in loco della speaker della camera Nancy Pelosi. Perché se da un lato gli USA ad oggi detengono il 65% del mercato dei prodotti della parte iniziale della supply chain, quella del design dei software. Nella seconda fase di produzione – quello della fabbricazione dei circuiti – ad oggi sono le aziende di Taiwan a detenerne il 60% del mercato. Quindi di fatto il primo produttore mondiale di microchip. Ora però l’amministrazione Biden punta ad essere più indipendente anche in questa seconda fase della catena produttiva. Investendo con il sopra citato Chips Act, affinché le proprie aziende, come il colosso Intel, siano in grado di fabbricare “in casa” i microchip.
Il mercato libero non ha esportato la democrazia
La globalizzazione, intesa come esistenza di un mercato globale di potenziali acquirenti, si è realizzato. Libero, deregolamentato, sembra avviarsi alla fine come effetto secondario della pandemia da Covid prima e della guerra in Ucraina poi. E’ emersa la questione fondamentale del controllo delle catene d’approvvigionamento strategiche. Per cui è pericoloso dipendere economicamente dalle materie prime di una superpotenza politicamente “avversaria” e “instabile”. E come esempio di indipendenza regna la Francia, che perseguendo un autosufficienza energetica, grazie al nucleare, oggi paga costi d’energia più bassi.
La globalizzazione nei fatti ha arricchito superpotenze che però aprendosi al libero mercato, non hanno per nulla modificato il loro assetto istituzionale, come si credeva inevitabile Non è stato così per la Russia, per la Cina, come non lo è stato per l’attuale Turchia. Con l’Europa che si è affacciata sul mercato globale sin dai primi Anni Novanta zoppa. Con un mercato unico e delle istituzioni comuni, spoglie di una forte governance politica, capace di imporre e difendere gli interessi economici del continente europeo.