Iran, decine di morti nelle proteste per il caso di Mahsa Amini
La giovane, 22 anni, è deceduta mentre era agli arresti per non aver correttamente indossato lo hijab
In Iran sarebbero almeno 50 i morti in una settimana di proteste e di rabbia popolare scoppiate in tutto il paese per la morte della giovane curda Mahsa Amini. Il dato è della Ong Iran Human Rights. L’ultimo bilancio ufficiale diffuso dalla Tv di Stato di Teheran parla di ‘appena’ 26 morti tra manifestanti e poliziotti.
Mahsa Amini è deceduta il 16 settembre, dopo essere finita in coma in seguito al suo arresto, tre giorni prima. La polizia religiosa l’accusava di non aver correttamente indossato il velo islamico sul capo, che il regime degli ayatollah impone in Iran a tutte le donne. La morte della ragazza mentre si trovava sotto la ‘custodia’ delle forze dell’ordine della repubblica islamica è stata come la miccia che ha fatto esplodere la bomba della rivolta. Un fuoco che ardeva sotto la cenere di un crescente malcontento popolare per le condizioni di vita sempre più difficili in Iran.
Diverse donne si sono mozzate i capelli in segno di protesta per le violente imposizioni maschiliste e patriarcali che gli ayatollah impongono loro. E hanno fatto circolare video sui social media, che in breve hanno fatto il giro del mondo. In alcuni filmati diffusi dai luoghi delle proteste si vedono uomini unirsi ai cortei delle donne per strada, durante manifestazioni cariche di rabbia in cui si bruciano i veli in piazza.
Iran, dura repressione
Le forze di sicurezza dell’Iran però non stano a guardare. Hanno arrestato uno dei più importanti attivisti della società civile, Majid Tavakoli. E anche la giornalista Niloofar Hamedi, che ha svolto un ruolo chiave nel denunciare il caso della giovane Mahsa Amini. Gli arresti arrivano mentre si intensificano le proteste che le autorità stanno reprimendo con forza. Secondo le organizzazioni per i diritti umani, la polizia sta usando proiettili contro la folla. E sono migliaia le persone che, in una settimana, sono scese in strada in tutto l’Iran nelle contromanifestazioni a favore dell’obbligo del velo islamico. Iniziative che il Governo di Teheran sostiene nel tentativo di offuscare le massicce proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini.
L’accesso ai social media – Instagram e WhatsApp in primo luogo – è bloccato in Iran dal 21 settembre. La connessione da rete mobile, di fatto, non funziona. La misura è stata adottata in risposta alle “azioni compiute attraverso questi social network da controrivoluzionari contro la sicurezza nazionale“, ha spiegato l’agenzia iraniana Fars. Il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi ha dichiarato: “Dobbiamo distinguere tra manifestanti e vandalismo“. I disordini arrivano in un momento particolarmente delicato per la leadership iraniana. Il regime degli ayatollah da mesi affrontare un vasto malcontento della popolazione per la grave crisi economica in cui versa il paese dopo la reintroduzione delle sanzioni americane. Malcontento che adesso è esploso, innescato dal caso della morte di Mahsa Amini.
Amanpour rifiuta il velo
Ma la questione del velo femminile è un nervo scoperto da sempre in Iran. E in questi giorni il presidente Raisi, a New York per l’assemblea generale delle Nazioni Unite, non ha concesso un’intervista alla giornalista britannica di origini iraniane, Christiane Amanpour, perché la celebre cronista, storico volto della Cnn, si è rifiutata di indossare il velo sul capo davanti a lui.