Eliminazione armi nucleari: gli Stati stanno tornando indietro?
L’effetto post-guerra fredda, si avvia pericolosamente verso una fine. I paesi tornano ad investire nella modernizzazione degli arsenali.
Oggi è la Giornata Internazionale per la Completa Eliminazione delle Armi Nucleari. Purtroppo però, come evidenziano gli ultimi dati del nuovo rapporto del SIPRI, lo Stockholm International Peace Research Institute, oggi non potremmo essere più lontani da quel giorno. La guerra in Ucraina ha contribuito inevitabilmente a stravolgere un trend in lentissima, ma pur sempre costante, decrescita.
E adesso le prospettive del potere di deterrenza regalato dagli arsenali nucleari, ritorna ad essere una questione politica scottante in seno a tutti i governi. L’effetto post Guerra Fredda, in Europa e nel mondo, si avvia pericolosamente verso la fine. I nove Paesi dotati di armi atomiche – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord – si continua ad investire nella modernizzazione.
Dal disarmo nucleare degli Anni Ottanta al riarmo oggi
Siamo ben lontani ormai da quel clima di distensione instauratosi verso la fine degli Anni Ottanta, a seguito del trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) siglato a Washington l’8 dicembre 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbaciov . Dove si poneva fine alla vicenda degli euromissili, ovvero le testate nucleari a raggio intermedio installati da USA e URSS sul territorio europeo. Un punto di svolta legato al controllo degli armamenti tra le due superpotenze. Che per la prima volta, si impegnavano non a ridurre o ritirare i sistemi nucleari in oggetto, bensì ad eliminarle del tutto. Fino a smaltirne si stima, nel 1991, quasi 2.700 ordigni di medio-raggio. Oggi questa dinamica di de-escalation ha invertito la propria tendenza. E non riguarda soltanto Russia e Stati Uniti, che ancora oggi detengono circa il 90% delle armi nucleari esistenti al mondo.
Ma anche le altre sette Nazioni, in possesso di ordigni nucleari, che oggi stanno investendo nel settore, o hanno annunciato di volerlo fare. In particolare, la Cina appare in fase di piena espansione, ha evidenziato il rapporto del SIPRI. Con la costruzione di più di 300 nuovi silos per missili, secondo quanto rilevato dalle immagini satellitari. Il Regno Unito ha annunciato di voler aumentare lo stock totale di testate. Invertendo così la rotta dopo decenni di progressivo disarmo. La Francia da parte sua, nel 2021 ha lanciato ufficialmente un programma di sviluppo di sottomarini armati (SNLE) di terza generazione. Mentre India e Pakistan estendono i loro arsenali, dopo aver introdotto e sviluppato sistemi di lancio. Il tutto mentre la Corea del Nord, come noto, continua ad effettuare periodicamente una serie di test. Pyongyang, sempre secondo il rapporto citato, dovrebbe avere oggi a disposizione fino a 20 testate, ma possiede materiale per fabbricarne fino a 55.
Gli ordigni nucleari nelle basi NATO italiane
L’Italia come ben sappiamo, non produce, né possiede armi nucleari. Ma in quanto paese appartenente NATO, ospita ordigni nucleari americani sul proprio territorio. Rispettivamente a Ghedi, provincia di Brescia, e ad Aviano, provincia di Pordenone, ci sono dispositivi nucleari americani pronti a essere utilizzati. Nella prima base citata si stimano all’incirca un centinaio di testate, che necessitano dei velivoli della nostra Aeronautica Militare per essere sganciati. E tali decisioni seguono regole militari ben precise e condivise tra i Paesi Alleati. Mentre nella seconda gli americani, attraverso la presenza degli aerei Usa attrezzati sul posto per il trasporto e il lancio di ordigni, si muovono in totale autonomia. Oggi a seguito delle continue minacce da parte di Putin entrambe le basi sono nello stato di massima allerta.
Lo scenario drammatico attuale: la corsa agli armamenti, l’aumento dei conflitti
Facendo leva sulla retorica della deterrenza, tutti gli Stati dotati di armi nucleari oggi stanno aumentando o modernizzando i loro arsenali. Stiamo assistendo progressivamente al crollo dell’architettura internazionale per il controllo degli armamenti e al graduale regresso dagli accordi stabiliti sul loro controllo. Che hanno garantito per decenni una discreta stabilità globale, un contenimento e trasparenza. Dal sopracitato INF gli Stati Uniti sono usciti ufficialmente nel 2019, con l’accusa da parte dell’amministrazione Trump alla Russia, di non rispettarlo più. In realtà si pensa che la scelta sia stata dettata anche per recuperare rispetto alla crescente “potenza di fuoco” della Cina. Che non essendo parte dell’accordo, non ha restrizioni nella produzione di missili nucleari a media gittata.
Uno scenario drammatico dunque alla quale bisogna aggiungere il trend in crescita al livello globale della spesa pubblica militare in seno agli Stati. Il mondo sembra lentamente voler imboccare di nuovo la strada verso la corsa agli armamenti. Riprendere la strategia della deterrenza, più che la filosofia del disarmo. Più armi significa più guerre? Nel 2016, il numero di Paesi coinvolti in conflitti violenti è stato il più alto degli ultimi 30 anni. Nel 2021 ci sono almeno 22 guerre ad alta intensità, 6 in più rispetto all’anno precedente e nel 2022 con l’Ucraina siamo saliti a 23. Cosa accadrà? Una nuova collaborazione rafforzata tra gli Stati più potenti del mondo? Una potente mobilitazione della società civile? In quale direzione? Quando? Fermerà oggi sul nascere l’inevitabile oblio e clima di terrore che ci aspetta?