Pennac: Ho visto Maradona!: la permanenza di quell’emozione che si chiama Diego
Il celebre scrittore francese racconta il dolore che ha colto i suoi amici e si è innamorato della poesia del "pibe de oro"
“O mamma, mamma, mamma, o mamma, mamma, mamma, sai perché mi batte il corazon? Ho visto Maradona, ho visto Maradona, ehi mamà innamorato so’“. E Diego ha conquistato un altro cuore: quello di Daniel Pennac.
Si intitola “Daniel Pennac: Ho visto Maradona!” il documentario diretto da Ximo Solano proprio con il celebre scrittore francese Daniel Pennac, che nella “insopportabilmente rumorosa” Napoli incontra chi ha amato Diego Armando Maradona: dai tifosi semplici a Roberto Saviano, Maurizio De Giovanni e Luciano Ferrara. Lo scrittore che viaggia tra favole, noir e storie di famiglia è sceso a Napoli per raccontare Santa Maradona – come aveva recitato il titolo di un film famoso anni fa – mito, icona, alla stregua di un “patrono laico” per Napoli. Ma è proprio il papà letterario del capro espiatorio Benjamin Malaussène a voler esplorare perché la scomparsa di Diego – anche lui capro espiatorio – è stata vissuta da molti, da tutti quelli che lo hanno amato, in maniera così intensa.
Maradona ha avuto un impatto così grande sulla vita e le storie delle persone comuni e non – dei maradoniani – e per capirlo Pennac si lancia in una sorta di indagine creativa, teatrale e surreale. Con Napoli che gioca il suo ruolo, non solo di palcoscenico e scenario, come l’ha deciso nella vita di Diego. Perché come spiega De Giovanni: Napoli non ha vinto né prima, né dopo Maradona, e Maradona lo stesso”. Un intreccio di destini che secondo Saviano non passerà facilmente perché è stata l’unica promessa mantenuta al Sud di quegli anni.
Pennac: “i napoletani hanno pianto Maradona come un parente”
Quella che è apparsa all’inizio una stranezza – Pennac non era un tifoso – decide di portare Diego a teatro con una compagnia eterogenea di tifosi di Maradona, accomunati da quel dolore che ha colpito il mondo e non solo i suoi amici. Il tutto per capire e mostrare che il Pibe de Oro: “Non era un dio, ma uno stato d’animo“. La riflessione sul personaggio come fenomeno mediatico mondiale, anche se in molti neppure lo hanno visto giocare, che è onorato “come se fosse stato un parente stretto“. Perché? Secondo Pennac perché in Maradona convivono muscoli e poesia, come forse solo in Cassius Clay-Mohammed Alì. Questo ha prodotto quella “permanenza di emozione” legata al campione argentino prima in vita, e ora…
Irrompe ancora tutta la sua capacità di essere amato da molti, per la sua umanità, per una famiglia particolare – disfunzionale come quella di Malaussène. E ritorna il ruolo di capro espiatorio – con quel privato difficile e facile da strumentalizzare – magari per bilanciare la magia che sul campo era assoluta. Per aver giocato alla sempre mancina tutta la vita come uomo, come quasi sempre sul campo da gioco, tranne quando “aveva le gambe come una carta d’identità” (cit. Maradona).