A prescindere dall’orientamento politico personale, Giorgia Meloni Presidente del Consiglio è un avvenimento epocale per la storia della Repubblica. Assistere finalmente a una donna che percorre da sola i corridoi del Quirinale per ricevere l’incarico di formare il Governo e poi sale lo scalone di Palazzo Chigi sempre da sola.
Per colei che coltiva la politica come professione da sempre aver ricevuto la campanella – dopo un lunghissimo passaggio di consegne – da un ex premier del calibro di Mario Draghi, come ha confessato è stata un’emozione impattante. Come il primo saluto delle forze armate da primo ministro. Un traguardo personale che appartiene a tutti, anche se il Governo dovesse avere vita breve: Giorgia Meloni rimarrà uno straordinario esempio per tutte quelle ragazze che sognano una carriera politica.
Ma non solo, la vittoria della coalizione che l’ha espressa ci consegna un altro dato politico che dovrebbe portare stabilità al Paese. Dopo una legislatura quasi completa, ma che non ha espresso mai una maggioranza omologa e coesa – due tentativi di governo a trazione 5 stelle prima di destra e poi di sinistra, siamo passati a quello che è stato definito di Unità nazionale – con a capo premier scelti fuori dal raggio parlamentare, sia per scelta dei partiti, che per mandato del Capo dello Stato. Giorgia Meloni sana l’anomalia rappresentata dal Movimento Cinque Stelle che non ha mai espresso come Capo del Governo – alle prese con la diarchia tra fondatore e capo politico – il leader del partito di maggioranza relativa. La sua indicazione arriva diretta dalle urne e non è decisa a risultato elettorale consolidato per soddisfare l’accordo tra partiti, come avveniva nella Prima Repubblica.
La vittoria di Giorgia Meloni: quale scenario apre in Europa
Il nostro Paese è diventato osservato speciale dal momento che la leadership di Giorgia Meloni potrebbe imprimere oggi una storica svolta alla “reputazione” dei partiti conservatori europei. Come dettarne ovviamente al contrario una pesante sconfitta. Il successo economico e il gradimento politico di un governo a trazione sovranista in Italia – la terza potenza UE – porterebbe con sé importanti ripercussioni anche su altre realtà continentali. La massiccia avanzata dei partiti conservatori – a cui abbiamo assistito quasi ovunque, a meno della situazione inglese in controtendenza – rende il neo premier italiano Meloni doppiamente protagonista, a livello europeo, ancor prima che nazionale. Calcolando con precisione la propria road map governativa e la propria scelta di campo in UE.
Tante le sfide imminenti: un cammino in salita
Fino ad ora le sue recenti dichiarazioni da presidente in pectore non si sono mai allontanate dalla linea di politica estera del governo Draghi. Dimostrando grande senso di responsabilità e prudenza. Le sfide imminenti del nuovo governo sono urgenti e molteplici. In primis far fronte con strumenti e risorse agli effetti dei rincari energetici su famiglie e imprese. Anche se il premier Draghi ottenendo il price cap nell’ultimo Consiglio Europeo ha di fatto spianato non poco la strada della neo premier. Il governo uscente lascia anche un tesoretto importante dovuto essenzialmente alla sua azione da entrate fiscali inattese (prodotte sia dall’inflazione, che dalla crescita economica). L’aumento dei consumi post pandemia e il gettito IVA ha garantito all’ex ministro Franco i 60 miliardi da destinare al finanziamento dei tre Decreti Aiuti senza ricorrere a debito aggiuntivo. Con la recessione in vista nel 2023 il governo Meloni questi soldi dovrà trovarli in un altro modo.
Il cammino inizia dunque in salita e si muove sopra un campo minato. Dovendosi confrontare con una congiuntura globale assai preoccupante. In questi momenti si distinguono gli statisti dai politici, come sosteneva De Gasperi nella celebre e usatissima citazione: “Un politico è colui che guarda alla prossima elezione, mentre uno statista alla prossima generazione”. A quale categoria appartenga Giorgia Meloni ce lo diranno solo le sue azioni e le sue scelte. Da oggi su di lei peserà l’onere di passare dalle parole ai fatti. Il primo gesto da neo presidente ha riguardato la scelta della vettura istituzionale: si passa dall’Audi A6 di Draghi all’Alfa Romeo Giulia. Fiore all’occhiello del Made in Italy nel settore auto!