Un mistero chiamato Tilda Swinton, la “non-musa” di nessuno
Camaleontica, atipica e incredibilmente talentuosa: celebriamo oggi l'interprete britannica
Della sua essenzialità espressiva, Tilda Swinton ha fatto la sua cifra stilistica insieme al suo fascino atipico: ma dietro c’è molto altro. C’è la ricerca costante di un’artista che sfida i costrutti stereotipici attraverso la sua recitazione, la sua immagine e il suo essere così fuori dagli schemi. Ecco chi è Tilda Swinton.
Era il 1992 quando nelle sale cinematografiche è approdato Orlando, per la regia di Sally Porter. Basato sull’omonimo romanzo di Virginia Woolf, vede come protagonista il giovane nobile che dà il titolo all’opera, incaricato dalla Regina Elisabetta I di non invecchiare mai. Il film ne ripercorre le vicende nel corso dei secoli: Orlando vive dunque in prima persona tutte le trasformazioni a cui l’umanità ha assistito a partire dal XVI secolo, affrontando anche un cambio di genere spontaneo.
A dar voce e corpo al protagonista è stata Katherine Matilda Swinton, nota ai più come Tilda Swinton. Proprio grazie alla facilità nell’andare oltre il dualismo maschile-femminile – anticipando, di fatto, il concetto di no-binary al cinema – ha plasmato la sua identità, caratterizzata da un fascino ambiguo, etereo, che sfugge al tempo e allo spazio. Proprio come il suo Orlando.
Tilda Swinton, il fascino senza tempo di una anti-diva sui generis
Proveniente da una famiglia legata alla tradizione militare, Tilda Swinton ha frequentato la West Heath Girls’ School nel Kent, divenendo compagna di classe e amica di Lady Diana. Laureata in Scienze Politiche e Sociali presso l’Università di Cambridge, ha mostrato sin dalla giovane età una personalità unica e anticonformista che è divenuta il fil rouge del suo lavoro sul grande schermo. Dopo aver esordito al cinema nel 1986 con Caravaggio, per la regia di Derek Jarman, che l’ha diretta in tutti i lungometraggi realizzati fino al 1993, Tilda Swinton ha ottenuto la Coppa Volpi a Venezia nel 1991 per il ruolo della Regina Isabella in Edoardo II.
Il già citato ruolo di Orlando è stato il vero spartiacque nella sua carriera, dal momento che le ha dato modo di mostrare tutta la sua versatilità. Soprattutto a partire dagli Anni Duemila, l’interprete britannica ha iniziato a dividersi tra pellicole mainstream, opere d’autore e lavori d’avanguardia artistica. Dal – criticato – The beach di Danny Boyle, al fianco di Leonardo DiCaprio a Vanilla Sky – remake statunitense dello spagnolo Apri gli occhi – al fianco di Tom Cruise, Penélope Cruz e Cameron Diaz, il suo volto si è imposto con la sua austera autorevolezza in produzioni di grande successo. Nel 2005, la consacrazione definitiva al grande pubblico è avvenuta attraverso il ruolo della strega bianca Jadis ne Le cronache di Narnia: Il leone, la strega e l’armadio mentre nel 2008, grazie al film Michael Clayton, ha ottenuto l’ambito Premio Oscar.
Il sodalizio con Luca Guadagnino
Parallelamente alle grandi produzioni hollywoodiane, tra le quali è imprescindibile anche Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher, Tilda Swinton ha stretto diversi sodalizi artistici. Oltre al compianto Derek Jarman, ha lavorato più volte con i fratelli Cohen, Wes Anderson e Jim Jarmusch, ma la sua unione più fruttuosa è senza dubbio quella con il nostrano Luca Guadagnino. Il loro è un legame che dura da ormai oltre vent’anni e che ha dato luogo a The Protagonists (1999), Tilda Swinton: The Love Factory (2002), Io sono l’amore (2009), A Bigger Splash (2015) e Suspiria (2018). Di lui, l’interprete britannica ha detto tempo fa: “Il nostro è un legame di famiglia, […] (un’amicizia, ndr) fatta anche di film nati intorno al tavolo della cucina.” Ma guai a definirla la sua (o più in generale) musa.
Perché Tilda Swinton è una “non-musa“
“Hanno usato la parola “musa” per me in relazione a così tante persone… pensando di farmi un complimento, ma non è quasi mai vero.” A rivelarlo è stata la stessa Tilda Swinton in un’intervista rilasciata tempo fa a Io Donna, proprio in coppia con Luca Guadagnino, che si è detto seccato da questo “equivoco frutto di pigrizia mentale e con una punta di misoginia“. Perché, come il regista ha proseguito, “non esiste nessuno meno musa di Tilda“. Caratteristica intrinseca di questa particolare figura consiste, difatti, nell’attirare l’attenzione altrui su di sé in maniera passiva, come una sorta di riflesso delle intenzioni dell’autore.
Una visione riduttiva per chi vive di luce propria come la Swinton, la quale illumina con la sua capacità creativa ciascun progetto a cui prenda parte. Un estro che si fa forza espressiva, assume diverse forme, suoni e consistenze – come è evidente proprio nel Suspiria del 2018, nel quale l’interprete riveste i panni di Madame Blanc, Helena Markos e il dottor Josef Kemplerer – ed è in continuo divenire.