Cop27 in Egitto, l’ONU chiede la liberazione del blogger simbolo della Primavera Araba
Al-Sisi tiene in carcere Alaa Abdel Fattah, icona della rivoluzione del 2011. In sciopero della fame, è in pericolo di vita. Toccante lettera alla famiglia
Da mesi in carcere in Egitto, lo scrittore, blogger e attivista Alaa Abdel Fattah, simbolo delle rivolte pro-democrazia del 2011, si sta sottoalimentando. E da due giorni ha smesso anche di bere. Le Nazioni Unite ne hanno chiesto l’immediata liberazione per evitarne la morte. Negli stessi giorni della Conferenza sul clima che il regime di al-Sisi sta ospitando a Sharm el-Sheikh.
“L’alto commissario ONU per i diritti umani, Volker Turk, ha espresso profondo rammarico per il fatto che le autorità egiziane non abbiano ancora rilasciato il blogger e attivista Alaa Abdel Fattah“. “Siamo molto preoccupati per la sua salute.” Così la portavoce delle Nazioni Unite Ravina Shamdasani durante il consueto briefing a Ginevra. “Negli ultimi due giorni” ha aggiunto, “la famiglia dell’attivista non è stata in grado di comunicare con lui.” Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in Egitto per la Conferenza Cop27 sul clima, ha parlato del caso con le autorità egiziane.
Lo stesso avrebbero fatto il Primo Ministro britannico, Rishi Sunak, e il presidente francese, Emmanuel Macron. Tuttavia, nella giornata di ieri 7 novembre, a domanda esplicita dell’inviato di Vice News in Egitto, Matthew Cassel, il premier britannico Sunak ha accuratamente evitato di rispondere alla domanda ignorando il cronista che lo seguiva. La situazione del pressoché inesistente rispetto dei diritti umani in Egitto è imbarazzante per la Gran Bretagna, così come per l’Italia. Nell’incontro fra Giorgia Meloni, il 7 novembre, e al-Sisi, la premier avrebbe fatto cenno, ma non molto di più, al caso di Giulio Regeni, massacrato al Cairo nel 2016, e di Patrick Zaki, a cui è vietato far ritorno nel nostro Paese.
Rishi Sunak Ignored Questions About a UK Citizen on Hunger Strike in Egypt
https://t.co/nouR5tOeRR— matthew cassel (@matthewcassel) November 7, 2022
Egitto, chi è Alaa Abdel Fattah
Alaa Abdel Fattah, cittadino anglo-egiziano, è l’icona della rivoluzione del 2011 in Egitto contro il regime di Hosni Mubarak. Nel 2015 è stato condannato a 15 anni di carcere. Nel 2020 la Corte Penale del Cairo lo ha iscritto nell’elenco nazionale dei terroristi. Fondatore di un importante aggregatore di blog in arabo, Alaa Abdel Fattah ha partecipato a diverse iniziative di citizen journalism.
Il suo libro You have not yet been defeated (Non siete ancora stati sconfitti, edito in Italia da Hopefulmonster) raccoglie alcuni dei suoi scritti più influenti e ha ricevuto ampi consensi. Lo scorso 2 aprile il blogger e attivista ha cominciato uno sciopero della fame parziale, come ultimo tentativo di ottenere la libertà. Martedì della scorsa settimana ha completamente smesso di mangiare e da domenica 6 novembre, giorno dell’apertura della Cop27 a Sharm el-Sheikh, all’altra estremità del Paese, ha smesso anche di bere. La famiglia e i sostenitori di Alaa in tutto il mondo si stanno mobilitando. Amnesty International Italia ed EgyptWide invitano tutte le realtà della società civile e coloro che desiderano partecipare a titolo personale a essere solidali con i “prigionieri di coscienza” in Egitto e a unirsi all’azione per chiedere la liberazione di Alaa.
La lettera alla famiglia
Drammatiche le parole che Alaa Abdel Fattah ha scritto in una lettera alla sua famiglia annunciando l’intensificazione del suo sciopero della fame dal carcere in cui si trova in Egitto. “Se si desidera la morte, lo sciopero della fame non è una lotta. Aggrappandosi alla vita solo per istinto, che senso avrebbe uno sciopero? Se si rimanda la morte solo per la vergogna delle lacrime della propria madre, allora si diminuiscono le possibilità di vittoria…”
“Ho deciso di intensificarlo in un momento che ritengo opportuno per la mia lotta per la libertà, e per la libertà dei prigionieri di un conflitto in cui non hanno alcun ruolo o da cui stanno cercando di uscire. Per le vittime di un regime che non è in grado di gestire le sue crisi se non con l’oppressione, non è in grado di riprodursi se non attraverso l’incarcerazione.” L’8 novembre a Roma di fronte all’Ambasciata britannica, si è svolto un sit-in di Amnesty International Italia ed EgyptWide per sollecitare le autorità britanniche nel chiedere la scarcerazione dello scrittore britannico-egiziano.