Cop27: le grandi contraddizioni della transizione ecologica
L'inquinamento delle Terre rare, il problema del consumismo e del paradigma economico attuale
In questi giorni a Sharm el-Sheikh si sta tenendo la 27esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: la Cop27. A cui prendono parte oltre 100 capi di Stato e di Governo. Unici assenti Cina e India. Che assieme agli Stati Uniti rappresentano i Paesi maggiormente inquinanti del globo. Il che certo non lascia ben sperare circa l’efficacia delle risoluzioni che verranno adottate.
I temi che la Cop27 affronterà sono molteplici. Dal come evitare un surriscaldamento terrestre di oltre 1.5 gradi, alla possibilità di aiutare quei Paesi meno responsabili del cambiamento climatico, ma maggiormente esposti alle sue devastanti conseguenze. L’Unione Europea sul tema da parte sua ha predisposto nel Green Deal i propri tempi e modi della svolta sostenibile. Eppure nonostante i numerosi sforzi politici, e le mobilitazioni sociali a favore dell’ambiente, esistono tutt’ora delle zone d’ombra e delle contraddizioni nella svolta green che troppo spesso si preferisce non vedere.
Ambiente e consumismo non sono compatibili
Gli attuali ritmi di consumo non sono più compatibili con le necessità dell’ambiente. In poche parole consumismo e ambientalismo non possono convivere. Se non iniziamo a prendere coscienza di questo, non ci salverà alcun Green Deal, né Cop27 che possa far miracoli. Anzi il rischio è passare dallo sfruttamento dei carbonfossili oggi, all’inquinamento dovuto dallo sfruttamento delle terre rare domani. Per conseguire la sostenibilità a lungo termine serve prima di tutto iniziare a concepire l’ambiente, il clima, l’economia e la società, come parti inscindibili della stessa entità. Dove la salvaguardia ed i ritmi del Pianeta devono dettare i limiti e i ritmi al sistema economico, che a sua volta deve garantire un equo sfruttamento delle risorse per i cittadini.
Nel sistema odierno invece, il paradigma è del tutto invertito. Pur di mantenere livelli alti di consumi, e quindi massimizzare il profitto. Lo sfruttamento delle risorse insegue i ritmi frenetici dettati dalle esigenze del mercato e non dell’ambiente. Ma questo dove ci ha portati? Per avere dei parametri, basti pensare che solo l’Occidente (il 20% della popolazione mondiale) ad oggi per mantenere i livelli di consumo attuali ha bisogno di sfruttare circa l’80% delle risorse della terra. Gli USA possiedono livelli tali di consumo che se li avessero anche tutti gli altri Paesi del mondo, ci sarebbe bisogno di almeno altri 2/3 pianeti. Non solo il sistema economico attuale non è sostenibile. Ma è anche fortemente iniquo, perché per tenerlo in piedi, è strettamente necessario che solo in pochi continuino a sfruttare le risorse che appartengono a tutti. E che quindi continenti come l’Africa non raggiungano mai il nostro benessere. Altrimenti le materie prime non basterebbero.
I danni ambientali di domani al centro della Cop27
Dal 1970 ad oggi l’estrazione di materie prime, dopo il boom del consumismo, è triplicata. Destinata a triplicare ancora entro il 2050. Allora saremo 9 miliardi con 180 miliardi di tonnellate di materie prime. Puntando sulla diversificazione delle fonti di energia – elettrico e idrogeno sono tra le fonti green più gettonate – con il dilemma dello sfruttamento delle terre rare. L’idrogeno in forma di molecola (H2) è raro sul nostro Pianeta e quindi va prodotto, nella sua forma più green, a partire dall’acqua con gli elettrolizzatori. Nelle sue forme meno green a partire da gas o addirittura petrolio. Gli elettrolizzatori hanno bisogno però di energia elettrica.
Per produrre energia eolica, solare, elettrica, c’è bisogno di estrarre i minerali particolari nelle Terre rare. Uno dei nodi più controversi della transizione ecologica. Sono dei materiali ad oggi scarsamente riciclabili (solo il 2%); la loro all’estrazione e raffinazione – per via di procedimenti altamente rischiosi per l’ecosistema e per la salute umana – presenta rischi alti. In media per ogni tonnellata estratta si producono 60mila metri cubi di rifiuti gassosi. A questo si aggiungano i 200 metri cubi di acidi che vengono versati nei fiumi o che filtrano nelle falde sotterranee, e le 1,4 tonnellate di materiali radioattivi, derivanti da composti precedentemente legati con l’elemento da raffinare.
La rivoluzione ecologica: invertire il paradigma economico
La transizione ecologica e l’economia circolare non possono prescindere una seria riflessione sui consumi. Che devono tornare ad essere sostenibili per l’ambiente, secondo le tecnologie a disposizione. Solo così potremmo risparmiare davvero le materie prime. Senza una tale inversione di paradigma l’economia circolare rischia di creare solo un circolo “virtuoso”, altrettanto fuori controllo per l’ambiente. Serve un’autentica rivoluzione ecologica più che una semplice transizione che passi dallo sfruttamento forsennato di alcune risorse ad altre.