Qualcuno parla di rivoluzione in corso in Iran e l’attenzione mediatica occidentale sta crescendo.
Si contano finora, secondo le organizzazioni internazionali per i diritti umani, centinaia di morti, di cui ameno 43 bambini, e quasi 20mila arrestati. L’Iran è un Paese giovane – 80 milioni di abitanti, età media 27 anni – e antico allo stesso tempo: la Persia è la patria di una delle più antiche civiltà della Terra sorta 3mila anni prima di Cristo. In questa nazione carica di storia e giovani sono oggi le donne e i ragazzi, spesso adolescenti, a guidare da tre mesi proteste quotidiane contro il regime teocratico della Repubblica islamica. Uno Stato nato nel 1979 da un’opposta rivoluzione, quella contro il regime filo-occidentale dello scià Reza Pahlavi.
Iran, rivoluzione anti islamista
Come per un contrappasso dantesco sono adesso i chierici col turbante a veder sfuggire dalle proprie mani il controllo della popolazione, in una spirale che nessun esclude più che possa travolgerli. L’odierna rivoluzione anti-ayatollah potrebbe portare, in tempi non lunghi, a un cambio di regime a Teheran. Manifestazioni, sit-in, cortei e persino assalti incendiari si susseguono. Anche contro i simboli sacri degli ayatollah. La casa natale del padre della rivoluzione islamica del 1979, Khomeini, divenuta un museo, è stata data alle fiamme. Anche nei quartieri più conservatori di Teheran è scoppiata la rivolta, così come in molte zone del Paese. Tutto in nome della libertà che manca; dei diritti delle donne quantomeno a portare i capelli sciolti senza l’obbligo del velo; della possibilità per tutti di scegliere il tipo di vita che si vuole vivere. Senza sottostare alla legge coranica.
La repressione si è scatenata. Dopo tre mesi di rivolte sono centinaia i morti. Ma le proteste di piazza non si fermano. Ogni occasione diventa quella buona per manifestare in nome della libertà e dei diritti umani e civili. Anche il Mondiale di calcio in Qatar, dove il regime di Doha, amico di Teheran, ha censurato e allontanato i tifosi, uomini e donne, che sugli spalti hanno esibito magliette con la scritta “Vita, donna, libertà“, uno dei simboli delle proteste.
Giovani che muoiono per la libertà
O come in occasione dei 40 giorni dalla morte delle vittime della repressione: una data importante nella tradizione religiosa islamica. L’1 dicembre 2022, ha raccontato su Twitter il corrispondente di Radio radicale, Mariano Giustino, è stato “il 40º giorno dall’assassinio di Hossein Panahi. Una ragazza di 17 anni che il 30 ottobre è stata colpita alla testa da un cecchino di Khamenei (l’ayatollah Guida Suprema, n.d.r.). È morta all’ospedale di Teheran. Per avere il suo corpo la sua famiglia ha dovuto dire che si è suicidata“.
Un giovane, Farzin Maroufi, è stato assassinato dalle milizie del regime, ha raccontato ancora Giustino, per aver festeggiato la sconfitta della nazionale di calcio iraniana da parte degli Usa al Mondiale del Qatar. Sono più d’uno i giovani uccisi dalla polizia durante le manifestazioni di giubilo per la sconfitta della propria nazionale, considerata un simbolo della Repubblica islamica che vogliono abbattere. Persino i musicisti rischiano la condanna a morte. Così era a fine novembre per Toomaj Salehi, 32 anni, uno dei più amati rapper iraniani diventato voce e volto delle proteste. “Il crimine di qualcuna è stato avere i capelli al vento, il crimine di qualcun altro è stato non tacere” canta Salehi.
Iran e Italia, rapporti ‘amichevoli’
Negli stessi giorni, l’1 dicembre, il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir Abdollahian, ha annullato la sua visita in Italia prevista per il giorno dopo. Anche questo è un segnale. Cosa sta succedendo nell’establishment di Teheran, che forse pensava di reprimere con successo in breve tempo, come già avvenuto altre volte, l’ennesima rivolta? Il capo della diplomazia si è tratto dall’imbarazzo di incorrere in manifestazioni contro di lui nella Città Eterna. E, di fatto, ha salvato dal disagio anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Invitato nello scorso mese di luglio Abdollahian avrebbe dovuto partecipare a Roma ai Med Dialogues, conferenza di geopolitica organizzata dall’Ispi e dalla Farnesina e avrebbe dovuto incontrare personalmente Tajani.
Quella a Roma sarebbe stata la prima visita di un alto esponente del Governo iraniano in un paese europeo da quando sono iniziate le proteste a seguito della morte di Masha Amini, alla metà del mese di settembre. I contatti diplomatici fra Italia e Iran si erano poi intensificati per ottenere la liberazione di Alessia Piperno, la blogger romana incarcerata a Teheran per 45 giorni e poi rilasciata il 10 novembre scorso. Il nuovo Governo italiano ha mantenuto un approccio dialogante con la Repubblica islamica, mentre poche settimane fa l’Unione europea ha sanzionato alti funzionari iraniani ritenuti responsabili della repressione. Tutti i Paesi dell’Ue, Italia compresa, hanno votato a favore della risoluzione con cui il Consiglio dei Diritti umani dell’ONU ha deciso l’avvio di un’indagine indipendente sulle violenze in Iran. Qualcosa si muove di fronte all’esasperazione e al coraggio dei giovani iraniani che lottano e muoiono per la libertà.