“Proporremo una profonda revisione” della disciplina delle intercettazioni e “vigileremo in modo rigoroso su ogni diffusione che sia arbitraria e impropria“. Sono state le parole al Senato del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il quale promette dunque battaglia alle intercettazioni: dalla “diffusione selezionata e pilotata“, che per parte della Magistratura è diventata, per citare ancora le parole di Nordio, uno strumento in Italia “micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”.
E viene subito alla mente uno dei momenti in cui nella nostra storia repubblicana, la Magistratura ha segnato profondamente la vita politica del nostro Paese: Tangentopoli, che senza ombra di dubbio ha decretato l’inizio del “controverso” rapporto oggi presente in Italia tra la Magistratura come potere e la classe politica stessa. Gettando spesso dubbi ed anche ombre circa la differenza tra la volontà di giustizia e l’animo giustizialista almeno di una parte degli inquirenti italiani.
La “Magistratura asservente“: da Palamara a Mani Pulite
Oggi l’ex magistrato Luca Palamara (protagonista di uno degli scandali che ha coinvolto il sistema di nomina delle toghe italiane tra i più imbarazzanti, n.d.r.) parla nei suoi libri, di una “magistratura asservente”. E di “indagini utilizzate come grancassa”, secondo le parole dell’ex magistrato, “contro questo o quel nemico politico”. Dipingendo un’immagine della Magistratura poco retta e imparziale, rispetto a come la legge – e l’equilibruio necessario tra i poteri dello Stato – invece richiederebbe. Fu l’inchiesta di Mani Pulite a dare il via al costume del segreto istruttorio riguardo gli avvisi di garanzia quasi sistematicamente reso merce verso i mass media. Erano gli anni delle “telepiazze” politiche in cui si svolgevano veri e propri processi mediatici capaci di condannare e mortificare mediaticamente la persona, ancor prima di una vera sentenza da parte della procura.
Nell’inchiesta di Mani Pulite più del 50% di quegli arresti non hanno prodotto alcun risvolto penale. Nel frattempo però con l’uso (abuso) che si fece allora della carcerazione preventiva, utilizzata dal Pool come un brutale strumento per estorcere confessioni negli interrogatori, alcuni si sono tolti la vita per vergogna e disperazione, suicidandosi. La china giustizialista che ebbe quell’inchiesta è stata riconosciuta a posteriori anche dal capo del Pool Antonio Di Pietro in un intervista del Settembre del 2017. “Ho fatto una politica sulla paura, la paura delle manette, la paura del, diciamo così, “sono tutti criminali”. E diciamoci la verità, quell’inchiesta portata avanti in maniera così mediaticamente “spettacolare” dalla Magistratura, ancor prima che punire il sistema di finanziamento illecito dei partiti, ha generato proprio questa drammatica conseguenza”.
Potere politico e potere giudiziario: i danni prodotti da questo squilibrio
Il messaggio era chiaro: in politica, e soprattutto i politici, sono tutti dei ladri o dei criminali. Lasciando ben poco spazio alla presunzione di innocenza. Ma conseguenza di quell’inchiesta, non è stato solo il generale disincanto, da parte dei cittadini, verso il ruolo e l’autorevolezza della classe politica. Ha disincentivato parte della classe dirigente di questo Paese, che per poca fede nell’imparzialità del sistema giudiziario, ha preferito ruoli privati rispetto all’impegno politico. Da Mani Pulite allo scandalo Palamara una parte della Magistratura ha dato troppe volte dimostrazione da allora di essere al servizio del potere e, a volte, purtroppo, di essere troppo bramosa di potere.
L’ex console americano a Milano Peter Semler ha affermato che già alla fine del 1991, Di Pietro, gli aveva rivelato che l’inchiesta avrebbe raggiunto Craxi e la DC. Degli obiettivi e delle intenzioni dunque, senza ancora alcun processo, molto specifici. Dopotutto le varie testimonianze dei politici poi assolti, interrogati strenuamente dai PM, hanno rivelato che la costante richiesta della Magistratura era: “dimmi qualcosa su Craxi e Andreotti e ti lasciamo andare”.
La riforma della Giustizia nel nostro Paese è arrivata su richiesta dell’Europa come condizione del PNRR: è mancata sempre alla classe politica quella spinta a rivestire quel potere nei confronti della Magistratura stessa. Troppo impegnata nei dibattiti da talk show. Il Parlamento intero oggi avrebbe il dovere di agire, senza dimenticare quanto gli strumenti degli inquirenti servano a contenere i fenomeni criminosi nel nostro Paese.