Bambini migranti che muoiono a Lampedusa, mentre altri ne nascono, almeno a volte. Come è avvenuto per la piccola Fatima, venuta alla luce a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera.
La giovane madre ha partorito durante le operazioni di attracco al molo Favaloro di Lampedusa nella notte del 20 dicembre. Poche ore prima, invece, la tragedia della piccola Rokia, la piccola di due anni e mezzo morta annegata in braccio alla madre dopo che la barchetta nella quale era stipata si è rovesciata di fronte all’isola.
Lampedusa, la nascita di Fatima
Le mamme di Fatima e Rokia provenivano dalla Costa d’Avorio a bordo delle carrette del mare. Fatima, la bambina nata sulla motovedetta della Guardia Costiera, è stata trasportata d’urgenza in elisoccorso, assieme alla mamma, all’ospedale di Agrigento. Sul barcone alla deriva c’erano 43 persone, tra cui 17 donne e 3 minori, in fuga dalla Costa d’Avorio ma anche dalla Guinea e dal Burkina Faso. “Non può immaginare la felicità per la nascita della piccola Fatima. Quelle lacrime di gioia ci hanno aiutato a superare le lacrime di amarezza per la morte di Rokia, appena due giorni fa… ” ha raccontato all’Adnkronos il mediatore culturale che ha assistito le due madri ivoriane, Moussah (a Lampedusa lo chiamano Mosè).
La morte di Rokia
Un’esperienza drammatica anche per i medici e gli operatori sanitari che appena due giorni prima di aiutare a partorire la neo mamma hanno fatto di tutto per salvare Rokia. Inutilmente, perché la piccola è morta per sindrome di annegamento nel naufragio che c’era stato poche ore prima al largo di Lampedusa. “Abbiamo provato in tutti i modi di salvarla” racconta Moussah all’Adnkronos. “Ma aveva bevuto troppa acqua e i polmoni erano ormai compromessi. Una rianimazione durata oltre un’ora“. La giovane madre, appena 21enne, è stata assistita da una psicologa.
Una vicenda penosa, che la Caritas sottolinea con dolore, riporta Avvenire. “Siamo arrivati all’assurdità di accettare con indifferenza le morti dei bambini in mare, come fosse normale“, ha detto all’agenzia Sir Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana. “Questa ennesima tragedia – osserva Forti – accade in un momento in cui si sta dibattendo su un nuovo codice di condotta per le Ong“.
Caritas: “Corridoi umanitari“
L’invito che la Caritas fa è di “tener sempre presente che sulle attività di soccorso in mare succedono molti drammi di questo tipo. Per questo andrebbero sostenute e incoraggiate, prevedendo porti di sbarco affinché chi si trova in quelle condizioni possa essere assistito. Allo stesso tempo si devono aumentare le possibilità di ingressi legali e sicuri attraverso corridoi umanitari. O altre azioni di cui possano beneficiare persone vulnerabili come le donne sole o bambini così piccoli. Perché non siano costretti a mettersi in mare in quelle condizioni“.