Il fronte alternativo al predominio geopolitico degli USA, capitanato al livello globale da Pechino, continua ad espandersi sotto i nostri occhi. Il disgelo, pilotato dalla Cina, fra l’Arabia Saudita e l’Iran, non segna che un ulteriore triangolazione economica inedita, che ha il fine ultimo di indebolire l’influenza di Washington.
E mentre fra l’Asia e il Medio Oriente, si tessono le fila di nuove alleanze strategiche e si discute di nuovi canali commerciali. In Occidente le prospettive circa gli accordi commerciali fra l’UE e gli USA non sono affatto entusiasmanti. Nella migliore delle ipotesi i vantaggi saranno soltanto a senso unico, ovvero esclusivamente appannaggio del Made in USA. Lasciando all’Europa solo le briciole.
La Cina avanza in Medio Oriente: il ruolo chiave dell’Arabia Saudita
La ripresa delle relazioni diplomatiche fra l’Arabia Saudita e l’Iran, sponsorizzata dalla Cina, è probabilmente la svolta diplomatica più clamorosa degli ultimi decenni. Se si pensa sopratutto alle questioni che hanno diviso i due Paesi: dalla guerra nello Yemen (dove i sauditi combattono i ribelli Houthi filo-iraniani) all’influenza iraniana in Iraq, Libano e Siria, fino al secolare scontro tra Iran e Israele, che ha invece rapporti cordiali proprio con i sauditi. Questa ripresa dei rapporti però, non è casuale ma rientra nel grande disegno globale cinese, che sta accelerando il passo a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina. Che ha sconvolto i tradizionali equilibri della politica internazionale. Molti Paesi a Oriente difatti stanno approfittato del “caos” per ritagliarsi posizioni e interessi nuovi, in maggiore autonomia. Dalla Turchia, all’India, fino all’Iran e l’Arabia Saudita.
I sauditi sono i primi fornitori di petrolio della Cina, che a sua volta è il suo primo partner commerciale. L’accorta strategia di penetrazione economica cinese difatti negli ultimi vent’anni, ha portato la Cina a investire in Arabia Saudita circa 106,5 miliardi di dollari. Una somma record nelPpaese, impareggiabile in tutto il Medio Oriente. Pechino non a caso punta a Riyadh, in cui vede un obbiettivo strategico essenziale. Ovvero la realizzazione di scambi commerciali in yuan e non più in dollari, per distruggere il monopolio globale del dollaro americano. L’Arabia Saudita è difatti il primo esportatore mondiale di petrolio. E gli scambi di greggio saudita in dollari da circa Settant’anni garantiscono flussi monetari essenziali alla stabilità del potere d’acquisto del biglietto verde.
Gli USA con l’IRA alla rincorsa di Pechino: l’Europa rischia di diventare un nano tecnologico
Per far fronte all’avanzata cinese, gli USA oggi cercano di rilanciare al livello globale il proprio monopolio tecnologico. Rilocalizzando le proprie catene di approvvigionamento e investendo migliaia di miliardi in sussidi per le imprese nei settori più strategici. Attraverso il piano IRA ormai è evidente che, in ritardo rispetto alla Cina, in questa rincorsa gli USA lasceranno – come appare evidente – all’Europa solo le briciole. A poco e nulla è servito difatti il recente incontro bilaterale tra Von Der Leyen e Biden. Dove gli americani per fare in modo che anche le imprese europee possano “beneficiare” dei sussidi americani, hanno iniziato a lavorare ad un accordo commerciale con l’UE sull’approvvigionamento dei minerali critici, indispensabili per la produzione delle batterie dei veicoli elettrici.
Ma in questo modo Washington non otterrebbe che un doppio beneficio. Di ridurre la proprio dipendenza dalla Cina, ad oggi ricca di questi elementi. E allo stesso tempo, tramite i sussidi dell’IRA, attrarre le eccellenze UE sul proprio territorio. Mentre per l’Europa significherà perdere migliaia di posti di lavoro e opportunità di innovazione tecnologica. Dove già eccellenze di settore – dal gruppo Volkswagen, all’Enel, passando per la svedese Northvolt – stanno pianificando l’apertura di fabbriche negli USA. Soprattutto nel settore della fabbricazione delle batterie elettriche. Come risposta alla potenza di fuoco USA, l’UE fino ad ora ha aperto la strada all’allentamento sugli aiuti di Stato. Ma questo provvedimento rischia di creare più danni che benefici. Perché a beneficiarne saranno solo gli Stati meno indebitati come la Germania che potranno predisporre ingenti sussidi per stimolare e trattenere le proprie imprese. Ma Paesi come l’Italia e la Spagna come faranno? Per non soccombere a nano tecnologico, l’Europa dovrebbe muoversi compatta.