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Il fallimento del neoliberismo: le leggi di mercato non bastano

Il calcolo errato degli americani con la Cina ha svelato l'illusione neoliberista

La pandemia prima, lo scoppio della guerra in Ucraina poi, hanno dimostrato le debolezze delle catene di approvvigionamento globale. Mostrando come la dipendenza commerciale verso un Paese possa divenire oggetto di dinamiche che toccano rapporti, interessi, cambiando le competizioni economiche e politiche al livello globale.

L’Occidente sta prendendo atto che il neoliberismo puro ha fallito. L’espansionismo cinese sta mostrando come esistano ragioni politiche che arrivano prima di quelle economiche, capaci di regolare e indirizzare l’orientamento del mercato. Altrimenti il rischio politico dietro l’angolo è quello di risvegliarsi in una posizione di completa dipendenza e sudditanza, nei confronti di una Nazione, magari politicamente agli antipodi dall’acquirente/venditore. Lo sfaldamento dello Stato dunque a favore della supremazia del mercato, sponsorizzata dal neoliberismo, ha dimostrato nei fatti di essere politicamente irrealizzabile.

FOTO DA PIXABAY

Il neoliberismo: dalla liberalizzazione dei mercati al passo indietro dello Stato

La cura neoliberista pura propinata negli Anni Ottanta dal duo Thatcher – Reagan ha influenzato le politiche economiche delle Democrazie più sviluppate. Fino a diventare il pensiero dominante in Occidente, in particolare dal crollo del muro di Berlino fino ai nostri giorni. Il neoliberismo attraverso il libero mercato, aveva promesso un mondo maggiormente interconnesso e quindi meno incline alle guerre. Dove gli accordi commerciali avrebbero disincentivato le grandi potenze ad attaccarsi militarmente. Il commercio dopotutto, è una forma di dialogo fra Nazioni che consente di stringere rapporti di reciproco interesse. Le guerre sono storicamente un prodotto degli Stati nazionali, mentre gli agenti del mercato preferiscono di gran lunga la pace perché molto più proficua. 

Il neoliberismo, inteso come viatico all’internazionalizzazione e allo sviluppo economico, ha promesso maggiore libertà per l’individuo dallo Stato considerato Leviatano. Disincentivando la presenza dello Stato nella vita economica ha promosso la progressiva deregolamentazione dei mercati, consentendo l’ingresso ai capitali stranieri. Oggi però in opposizione a questa scuola di pensiero, stiamo (ri)scoprendo il ruolo centrale dello Stato, che non può essere demandato al mercato o al singolo individuo. Per “ragion di Stato” oggi, la Nazione neoliberista per eccellenza, gli USA, sta “chiedendo” ai propri alleati di interrompere i rapporti commerciali con la Cina. E al tempo stesso sta investendo miliardi di soldi pubblici, attraverso il piano IRA, per rilocalizzare le catene di approvvigionamento dei settori più strategici come quello dell’high tech, sul proprio territorio.

Gli errori del neoliberismo USA vs l’Europa e il ruolo dello Stato

A questo punto verrebbe da dire che forse l’Europa, patria della socialdemocrazia, ci aveva visto giusto. Furono gli USA a promuovere la globalizzazione, con la liberalizzazione dei mercati economici e finanziari, e l’entrata del Dragone nel 2001 nella World Trade Organization. Pur coscienti delle plateali differenze in termini di diritti fra il sistema produttivo occidentale e quello di Pechino. Ma il calcolo degli americani si è rivelato completamente errato. Mentre l’Occidente difatti apriva le porte ai capitali stranieri provenienti da tutto il mondo, altri Paesi hanno semplicemente sfruttato quest’occasione per espandere la propria influenza politica. Diventando sempre più protagonisti nelle catene di approvvigionamento essenziali dell’Occidente.

Pensiero economico del neoliberismo/ FOTO DA PIXABAY

Secondo la visione puramente neoliberista, dipendere dal gas russo o algerino, o dalle terre rare cinesi, non dovrebbe fare alcuna differenza. Poiché nel mercato libero, prevale il miglior offerente. Peccato che le interdipendenze economiche – incoraggiate e promosse in Europa come capacità di influenza – si siano rivelate oggi un problema politico. E dunque da chi prendiamo oggi il gas e da chi i minerali strategici, è divenuta una questione politica ancor prima che economica. I sussidi statali – additati per anni come il male assoluto – oggi sono magicamente di nuovo visti di buon occhio, per stimolare l’economia nei settori chiave. Viene da chiedersi: dov’è finita la storia dello Stato Leviatano? Dov’è finita la fiaba dell’interdipendenza economica? Dov’è finito l’internazionalismo?

La Cina ha “sbalordito” l’Occidente

La Russia si è macchiata agli occhi del mondo attaccando l’Ucraina. E la Cina che la sostiene è divenuta immediatamente il nemico, per le sue smanie di potere. E per frenare la sua corsa globale oggi è un imperativo politico arginarla economicamente. Il Dragone ha sfruttato il lassez faire neoliberista incuneandosi nella deregolamentazione dei mercati. L’ Occidente che teme oggi Pechino, deve ammettere i suoi errori: il neoliberismo si è rivelato una grande illusione che appiattisce le differenze fra i vari regimi politici e produttivi, solo apparentemente e in nome del profitto.

Bandiera cinese/ FOTO DA PIXABAY

La Cina andava bene finché era sottosviluppata, offriva manodopera a basso costo, e comprava il debito pubblico americano. Ma adesso che punta al dominio globale, i suoi capitali ed il suo ruolo all’interno delle catene d’approvvigionamento essenziali non sono più graditi. Prevale la “ragion di Stato” e gli Stati nazionali perseguono interessi e fini politici ben specifici, partecipando alla rincorsa globale alle risorse strategiche, come alla crescita della propria influenza politica. In barba al neoliberismo, la Cina e altre autocrazie non solo non sono mutate in liberal-democrazie, ma si sono persino rafforzate all’interno della globalizzazione.

Chiara Cavaliere

Attualità, Spettacolo e Approfondimenti

Siciliana trapiantata nella Capitale, dopo la maturità classica ha coltivato la passione per le scienze umane laureandosi in Scienze Politiche alla Luiss Guido Carli. Senza mai abbandonare il sogno della recitazione per cui ha collaborato con le più importanti produzioni cinematografiche italiane tra cui Lux Vide, Lotus e Italian International Film.
Si occupa di attualità e degli approfondimenti culturali e sociali di MAG Life, con incursioni video. Parla fluentemente inglese e spagnolo; la scrittura è la sua forma di attivismo sociale. Il suo mito? Oriana Fallaci.

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