Gabriele Lavia e Edwige Fenech in "La quattordicesima domenica del tempo ordinario" (Courtesy of Press Office) - VelvetMag
Il prossimo 4 maggio uscirà nelle sale La quattordicesima domenica del tempo ordinario, nuovo film di Pupi Avati. In un turbinio di sogni giovanili, amori mai del tutto finiti e speranze disattese, il regista tira le somme di questi oltre cinquant’anni di carriera, offrendoci il suo lato – sfacciatamente – più intimo.
Dopo oltre cinquant’anni, si può dire che Pupi Avati abbia portato tutto se stesso al cinema. E lo ha fatto con La quattordicesima domenica del tempo ordinario, una produzione Duea Film e Minerva Pictures in collaborazione con Sky, in uscita nei cinema italiani in 300 copie dal 4 maggio con Vision Distribution.
A muovere le fila della storia Gabriele Lavia e Lodo Guenzi che si alternano, tra presente e passato, nei panni di Marzio; l’iconica Edwige Fenech e l’esordiente Camilla Ciraolo nei panni di Sandra; Nick Russo e Massimo Lopez, rispettivamente il Samuele “passato” e “presente”. A completare il cast, Cesare Bocci. Prima della distribuzione ufficiale in sala, si è tenuta l’anteprima stampa alla quale eravamo presenti.
Tutto ha inizio (e fine) in quel chiosco di gelati a Bologna, che sancisce gli incontri – ma anche le prese di coscienza – più significativi di Marzio (Gabriele Lavia/Lodo Guenzi). Proprio tra i tavoli del chiosco, due giovani Marzio e Samuele (Nick Russo) fondano il duo musicale de I Leggenda, nel corso degli Anni ’70, mossi dalle più rosee speranze; e proprio lì, l’esistenza di Marzio finirà per scontrarsi con quella di Sandra (Camilla Ciraolo/Edwige Fenech), “la ragazza più bella di Bologna”, aspirante indossatrice, che stravolgerà inesorabilmente la sua vita. Le loro strade si divideranno per poi ricongiungersi in maniera inaspettata dopo oltre trent’anni, a seguito di un tragico evento, che li porterà a dover fare i conti con quelle speranze disattese e dei trascorsi ancora irrisolti.
Tutto ne La quattordicesima domenica del tempo ordinario ha a che fare con vita di Pupi Avati, già a partire dal titolo stesso. Come ha spiegato il maestro bolognese: “Il tempo ordinario indica quel momento del calendario liturgico in cui generalmente ci si sposa. E quel giorno di giugno del 1964 rappresenta per me una grande felicità: dopo quattro anni di corteggiamento la ragazza più bella di Bologna finalmente diventava mia moglie.” Anche il chiosco stesso di gelati che “oggi non esiste più” è una tappa imprescindibile nella formazione del regista.
È legato ai ricordi ma anche ai sogni e alle speranze che abbondavano in età giovanile: è la porta d’accesso per Marzio e Samuele che, proprio tra quei tavoli, scelgono di diventare I Leggenda. Ma, così come quel posto ormai non esiste più, anche il loro progetto è destinato a sfumare. Ed è qui, dunque, che emerge la vena malinconica ma anche più disillusa del regista, per il quale, alla veneranda età di 84 anni, è arrivato il momento di offrire la sua confessione quasi più “spudorata”. “Il film racconta – spiega il regista – la storia di un fallimento perché di fatto ci sentiamo tutti un po’ ‘falliti’ rispetto ai sogni custoditi da ragazzi“.
“Le cose belle sono volate via“, così cantano Marzio e Samuele nella loro unica canzone incisa che porta, per altro, il titolo del film. Come una sorta di profezia che si autodetermina, infatti, i due si ritrovano a dover fare i conti con le proprie speranze e sogni disattesi, in un presente che ha indubbiamente infranto le loro aspettative. Passato e presente de I Leggenda, ma anche di Sandra, si mescolano con una dimensione prettamente onirica, connotata da un incontro significativo – per certi versi felliniano – per un Marzio ormai adulto (interpretato magistralmente da Gabriele Lavia, alter ego cinematografico di Pupi Avati) e disincantato con un passato ormai lontano, perso tra le pieghe dell’inconscio.
A dare ordine al flusso di ricordi e pensieri è perciò la musica e – in senso lato – l’arte. In particolar modo, è la canzone stessa che dà il titolo al film il vero leitmotiv, il cui testo nasce dalla penna di Pupi Avati, per essere poi musicato da Sergio Cammariere. Il brano riordina e introduce le diverse sequenze temporali, che si susseguono apparentemente senza continuità, e acquisisce un valore centrale, divenendo colonna, non solo sonora ma anche portante, della pellicola. È dunque lei, la musica che, così come i ricordi, continua a rimanere quando tutto scorre, quando i rapporti finiscono, quando gli amori giungono al termine e la bellezza sfiorisce. Rimane come testimonianza di un passato irripetibile e di un vissuto in cui eravamo altro rispetto a ciò che siamo ora.
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