Tutto pronto per le elezioni politiche di domenica 14 maggio in Turchia, che molti analisti considerano la tornata elettorale più difficile per il capo di stato turco, Recep Tayyip Erdogan. Alla guida del Paese da vent’anni. L’uomo da battere è Kemal Kılıçdaroğlu, 74 anni, leader dal 2010 dell’Chp, il Partito Repubblicano del Popolo, laico e liberale.
Attorno a Kılıçdaroğlu per la prima volta si è riunita una larga fetta di opposizione, in una coalizione eterogenea di partiti, ribattezzata il “Tavolo dei sei”. Ad unirli politicamente c’è la volontà di porre fine al potere di Erdogan, ma la loro diversità politica preoccupa non poco l’elettorato circa la stabilità e il futuro indirizzo politico dell’eventuale governo. Erdogan riuscirà a sorprendere e agguantare anche stavolta la vittoria? Che significato avrebbe la sua rielezione o la sua sconfitta al livello internazionale?
Luci e ombre del successo internazionale della presidenza Erdogan
I successi di Erdogan in politica estera sono innegabili: il presidente ha il merito di aver riportato la Turchia ad avere un ruolo geopolitico strategico sullo scacchiere internazionale. Uno dei pochi intermediari riconosciuti da Vladimir Putin, attore privilegiato in Africa, leader imprescindibile della NATO. Erdogan ha interpretato perfettamente il ruolo di Paese-ponte fra Occidente e Oriente, fra NATO e Russia, fra “democrazia” e autoritarismo. Ha saputo incarnare “lo spirito della Nazione”, garantendo un formidabile sviluppo economico, e propagandando il ritorno ai fasti e alla potenza dell’Impero ottomano. Sotto la guida del presidente la Turchia ha inoltre sviluppato nel turismo e nell’industria cinematografica, un nuovo soft power tutto Made in Turkey. Che ha rilanciato l’immagine del Paese in tutto il mondo. E che può vantare oggi di essere diventato il secondo produttore di contenuti televisivi al livello globale subito dopo gli USA.
Il prezzo però pagato dal popolo turco è altissimo, dove, come ben noto, Erdogan ha accentrato nelle sue mani gran parte della politica interna ed estera, reprimendo il dissenso e le minoranze. In Turchia in particolare la scena politica interna è determinata da trent’anni da una guerra civile scatenata dall’organizzazione paramilitare del Pkk curdo. Che secondo le stime ufficiali sinora ha causato nel paese più di 46.000 morti. Il candidato opposto al presidente Erdogan, Kemal Kilicdaroglu è curdo. E secondo gli analisti sarà proprio lo sviluppo del voto delle regioni curde, peraltro le più colpite dal recente terremoto, la chiave della vittoria. Ma a differenza di quello che riportano i media Occidentali, in queste aree il voto verso il candidato curdo non è per niente scontato. Sino al 2018 difatti, come riporta Le Monde, il Akp, il partito di Tayyp Erdoğan otteneva addirittura il 30-35 per cento di questa fetta di elettorato.
Le previsioni sul voto e le preoccupazioni di NATO e USA
A impensierire la rielezione di Erdogan ci sarebbero piuttosto altre varianti come: l’inflazione galoppante al 50%, la moneta in caduta libera, e la “variante terremoto”. Il terribile sisma, verificatosi a febbraio, oltre a causare migliaia di morti, ha colpito proprio le province roccaforti del presidente in carica. Dove secondo il Consiglio elettorale supremo (Ysk), almeno un milione di elettori di quelle zone non potrà votare a causa dello sfollamento. Le recenti mosse di Erdogan per recuperare consensi sono state quelle di aumentare del 45% gli stipendi pubblici, diminuire i tassi di credito e abbassare l’età pensionabile. Ma basterà a sedare l’insofferenza di una fetta di popolazione, progressista e laica, che reclama maggiori diritti e libertà? E che è pronta a tutto, anche a fare un salto nel buio verso una coalizione composta da partiti agli antipodi, pur di imporre un cambio di marcia?
Secondo gli analisti nessuno dei quattro candidati, compreso Erdogan, supererebbe il 50% delle preferenze già al primo turno. Per questo è molto probabile che si andrà al ballottaggio dopo due settimane e cioè il 28 maggio. E secondo alcuni sarebbe proprio qui che Kilicdaroglu potrebbe avere una chance. Ma l’incognita vera, di fondo di questa tornata elettorale di importanza enorme per il Mediterraneo è un’altra. In un momento geopolitico tanto delicato, la personalità politica di Erdogan impensierisce soprattutto i progetti di NATO e USA. Erdogan difatti ha dimostrato importanti qualità di mediatore nella guerra in Ucraina, come personalità politica nell’imporre ad esempio il proprio veto all’ingresso della Svezia nella NATO. Il successo del regime autoritario di Erdogan, rischia di divenire indirettamente un ulteriore conferma del successo del blocco alternativo opposto agli USA. Oggi capitanato dalla Cina e adunato sotto l’acronimo BRICS.