In Turchia una massa imponente di cittadini ha votato ancora una volta per il presidente conservatore islamista Recep Tayyip Erdogan, 69 anni, alle elezioni del 14 maggio. Tuttavia il ‘sultano’ è azzoppato: dovrà affrontare il secondo turno di ballottaggio il 28 maggio.
Mentre infatti Erdogan ha totalizzato il 49% dei consensi, lo sfidante della coalizione delle opposizioni, Kemal Kilicdaroglu, fautore di una repubblica laica sul modello della Turchia storica del padre fondatore Ataturk, ha ottenuto il 45%.
Turchia, a Erdogan 27 milioni di voti
Erdogan ha dichiarato di essere “chiaramente in testa” alle elezioni presidenziali, ma ha riconosciuto che sarà necessario un secondo turno, di cui “rispetterà” l’esito. È la prima volta in vent’anni, da quando è al potere in Turchia, che il capo dello Stato è costretto a un ballottaggio. Come detto, dovrà vedersela con il suo avversario socialdemocratico Kemal Kiliçdaroglu. Quest’ultimo ha guidato una coalizione senza precedenti di 6 partiti d’opposizione.
“Indipendentemente dal risultato, 27 milioni di persone hanno preferito votare per noi“, ha affermato Erdogan. “Il popolo ha scelto stabilità e sicurezza in queste elezioni presidenziali“. Il presidente uscente ha anche rivendicato la “maggioranza” dei 600 seggi in Parlamento per l’Alleanza nazionale che ha formato tra il suo partito Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e piccoli partiti nazionalisti e islamisti.
Le opposizioni sono galvanizzate
Kilicdaroglu ha promesso la vittoria del suo schieramento al ballottaggio. “Se la nostra nazione chiede un secondo turno, lo accetteremo volentieri. E lo vinceremo assolutamente“, ha detto il 74enne capo del Partito Popolare Repubblicano (Chp). Secondo lo spoglio ufficiale, Erdogan è avanti ma, con oltre il 90% delle schede scrutinate, è sceso sotto il 50% dei voti necessario per essere eletto al primo turno. Kilicdaroglu, al 45%, ha denunciato comunque “una farsa” in corso: “Siamo in vantaggio noi” aveva scritto su Twitter nel corso dello spoglio elettorale notturno.
Il partito laico di Centrosinistra Chp ha trionfato in gran parte del Sud-Est della Turchia, a maggioranza curda, ma Erdogan si è confermato nelle campagne e nei suoi feudi centrali. Il Chp è anche la principale formazione della piattaforma dei partiti di opposizione, ed è di orientamento socialdemocratico. Quantomeno rispetto alle accuse di ottomanismo, cioè di imperialismo ottomano anti repubblicano, che da anni vengono rivolte a Erdogan e al suo partito Akp.
Turchia, repubblica sempre meno libera
Il presidente uscente ha trasformato la repubblica parlamentare turca in una repubblica presidenziale che dal punto di vista dei diritti democratici si caratterizza per una sempre minore libertà. Già nel 2012, ancor prima delle prime elezioni presidenziali del 2014, la ong Reporters Sans Frontierès (RSF) aveva segnalato come quasi 100 giornalisti fossero incarcerati in Turchia, contro i 13 della fine del 2002, l’anno in cui il partito Akp di Erdogan era salito al potere. Reporters Sans Frontierès aveva descritto la Turchia come “la prima prigione al mondo per giornalisti“. Nel 2016, dopo due anni ‘regno presidenziale’ di Erdogan, la Turchia era già precipitata al 151º posto su 180 paesi nella classifica annuale sulla libertà di stampa. Nel 2023 si classifica ancora più in basso: al 165° posto (su 180). L’Italia è al 41° posto.