Il 2023 lo si ricorderà per varie ragioni, non ultima una ragione che concerne l’lndia, paese che agli occhi di molti italiani appare poco più di uno sconosciuto, sebbene fascinoso, luogo esotico tropicale. L’India è infatti diventata quest’anno la nazione più popolosa del mondo, superando la Cina. Tutto quello che avviene laggiù condizionerà il futuro del pianeta, Italia compresa.

Nel World Population Prospect, gli uffici di ricerca dell’ONU calcolano in 1 miliardo e 428 milioni gli indiani, contro 1 miliardo e 425 milioni di cinesi. La Cina è stata dunque spodestata dal gradino più alto del podio planetario che occupava dal 1950. E d’ora in poi difficilmente potrà tornarci.

Addestramento dell’esercito indiano. Foto Ansa/Epa Idrees Mohammed

L’India e la Cina

Attenzione: non si tratta di dati statistici per occhialuti addetti ai lavori, dediti a passar le notti al lume di lampada per scervellarsi su report demografici ed economici da consegnare al capo l’indomani mattina. No. Il sorpasso demografico sulla Cina rappresenta per l’India il simbolo stesso della sua ascesa come superpotenza mondiale. Senza parlare della Russia, Stato che sta affogando nella palude della guerra in Ucraina, da essa stessa scatenata con l’invasione del 24 febbraio 2022, si può affermare, parafrasando il proverbio, che fra i due litiganti – Stati Uniti e Cina – il terzo gode: l’India.

Nel mondo di oggi circa 1 essere umano su 3 proviene dall’India o dalla Cina. Nei due paesi più popolosi del mondo vivono 2,8 miliardi di persone sugli 8 miliardi di umani sulla Terra. Tanto per fare un paragone, negli Stati Uniti – l’ex gendarme planetario in declino – vivono circa 330 milioni di abitanti, pari ad appena un quarto della popolazione indiana. In Italia, paese del G7 e del G20, vivono 60 milioni di abitanti: 24 volte meno che in India.

Una rilevanza non più trascurabile

L’India non è nel G7 ma nel G20 sì. Si tratta del forum dei leader politici e dei governatori delle banche centrali dei 19 paesi più industrializzati del mondo (più l’Unione europea). Il G20 rappresenta grossomodo i due terzi del commercio e della popolazione mondiale, e oltre l’80% del Prodotto interno lordo (Pil) di tutto il pianeta. L’India detiene in questo momento la presidenza di turno del G20 e si candida a diventare una possibile mediatrice di pace prima che il conflitto in Ucraina divenga una guerra nucleare.

Il primo ministro indiano Narendra Modi. Foto Ansa/Epa Jagadeesh

E non è soltanto una delle maggiori potenze economiche e politiche in assoluto. Porta con sé culture e civiltà millenarie. L’India è la culla del sanscrito, una delle lingue madri più antiche, e del buddismo, fra le religioni più diffuse in ogni continente. È il luogo in cui ha operato, giungendo alla celebrità mondiale, Madre Teresa di Calcutta; è la patria di Mohandas Kharamchand Gandhi, il Mahatma, la ‘grande anima’, ossia il padre dell’India moderna. Emersa fra gli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso dal giogo dell’impero britannico razzista, anche, se non soprattutto, grazie alla lotta non violenta del Mahatma.

Scienziati, matematici e capi di Google

La nazione più popolosa del mondo è estesa geograficamente come un continente – non a caso detto il subcontinente indiano – ed è carica di contraddizioni. Spaccata fra il Nord più povero e demograficamente più prolifico e il Sud più ricco, meta di turismo, fra le megalopoli di Delhi e Bangalore, che è anche una delle capitali dello sviluppo tecnologico e informatico mondiale.

Da molto tempo gli indiani sono fra i più geniali matematici e scienziati che esistano. E molti di loro sono manager di caratura internazionale, come Sundar Pichai, 50 anni, l’amministratore delegato di Google, naturalizzato statunitense ma nato a Madurai, nel Sud dell’India, non lontano dalle coste che guardano verso lo Sri Lanka. Così come di origine indiana è Parag Agrawal, 38 anni, l’ex Ceo di Twitter detronizzato da Elon Musk. Un giovane informatico anch’egli naturalizzato americano ma nato a Ajemer, nel Rajasthan, al Nord, non lontano dal Pakistan.

Il Ceo di Google e Alphabet, Sundar Pichai. Foto Ansa/Epa Rajat Gupta

L’India e la marcia dei Gandhi

Più complessa e delicata è la politica indiana, che sovraintende al funzionamento della più grande democrazia del mondo. La figura carismatica dell’odierno potere di Nuova Delhi è il primo ministro Narendra Modi, 72 anni, leader del Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito ultra-nazionalista hindu. Da 10 anni l’ondata zafferano, il colore dell’hinduismo e del Bjp, e la forte presa sulla popolazione della destra hanno sbaragliato ogni concorrenza politica. Ma dall’orizzonte è tutt’altro che sparita la dinastia dei Nehru-Gandhi: la famiglia che ha retto a lungo e in diverse fasi storiche le sorti dell’India. Modi e i suoi hanno ottenuto una condanna per diffamazione nei confronti di Rahul Gandhi e scherniscono l’ultimo rampollo come “un bamboccione ancora sporco di latte“.

Priyanka Gandhi Vadra, segretario generale del Partito del Congresso Indiano. Foto Ansa/Epa Jagadeesh Nv

Ma con il 52enne figlio di Sonia, di origine italiana, e Rajiv Gandhi, il primo ministro assassinato nel 1991, è meglio non scherzare troppo. Ancor di più è meglio è non scherzare con la sorella di Rahul: Pryianka Gandhi Vadra, 51 anni. Il 13 maggio il suo Partito del Congresso ha stravinto le elezioni nello Stato del Karnataka, con capitale Bangalore. E lo scorso 24 dicembre Rahul Gandhi ha completato una prima fase della “Bharat Jodo Yatra“: la Marcia dell’Unità cominciata quasi 4 mesi prima, il 7 settembre con l’obiettivo di “riunire il paese“. Ha percorso in lungo e in largo l’India per 2.800 chilometri, accolto in trionfo a Nuova Delhi.

Alla marcia hanno partecipato tantissime persone, e ogni tipo di animali, mucche, bufali, maiali, cani: nessuno è stato molestato. Quella che sto attraversando è l’India che non conosce violenza né odio. Ma quando accendo la televisione vedo solo scontri tra hindu e musulmani, e sui media si sente parlare solo di aggressioni, 24 ore su 24. È quello che chiedono i governanti per distrarre dai problemi reali.” È guardando con più attenzione alle rive del Gange che anche l’Occidente potrà progettare un futuro combattivo ma pacifico.