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Perché con Maldini silurato il Milan perde non solo la sua bandiera

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Non è il calcio odierno del binomio miliardi & tecnologia quello che piace di più a Paolo Maldini. Lo storico capitano rossonero, fino a ieri direttore dell’area tecnica, è stato silurato e costretto a lasciare. Se ne va per una frattura ormai insanabile con la proprietà americana di Gerry Cardinale. Ha dovuto divorziare dal club che ha contribuito a riportare in alto. La vittoria dello scudetto 2021/2022 e un nuovo posto in Europa sono merito in gran parte suo.

La proprietà rossonera da tempo voleva portare nel Milan un modello di lavoro differente. Imperniato sui conti, fra entrate, uscite, investimenti e resa finale. Un modello manageriale all’americana, tutto muscoli e tecnologia, poco incline alla passione per la bandiera: meglio gli algoritmi, made in USA.

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Paolo Maldini, 55 anni. Foto Twitter @culture_more

Maldini e le divergenze con Cardinale

Ma in Italia così non funziona. Lo dimostra il Napoli appena laureatosi campione. Non è stata questione di miliardi, è stata questione di un allenatore geniale (Spalletti) che ha valorizzato giocatori su cui in pochi avrebbero scommesso e che ha saputo ridare motivazione alla piazza che per sempre vivrà nell’adorazione, a volte un po’ fine a se stessa, di ‘San’ Diego Maradona. Tecnica, passione, calore e anima.

È quello che il Milan ha smarrito e che Maldini ha tentato di restituire al club. Risultato: se ne sono sbarazzati. Le divergenze della proprietà con Paolo c’erano sul budget di mercato ma, soprattutto, sulla maggiore autonomia che l’ex capitano aveva chiesto. Della serie: “Datemi ancora un anticipo di fiducia e lasciatemi fare: conosco il calcio, vi porterò in alto“.

Maldini ha giocato nel Milan per 25 anni. Foto Twitter @francusu

Ma non si sfugge agli ingranaggi dei miliardi e della stringente logica dei bilanci, dei consigli di amministrazione e degli azionisti da remunerare. E così Maldini ha avuto il benservito, dopo che quest’anno i rossoneri hanno totalizzato parecchi punti in meno dello scorso campionato. Per ora il club adotterà una soluzione interna, che potrebbe diventare definitiva: più forza e autonomia a Furlani e Moncada. Basterà? Probabilmente no.

La nota del club e quella dei tifosi

In un calcio italiano dove i Maldini in campo non esistono più e nelle squadre scudettate solo due o tre giocatori su 11 sono italiani è difficile ricostruire uno spirito di gruppo in nome della bandiera e dell’attaccamento alla maglia e a una storia. Se poi una di queste bandiere, come Paolo Maldini lo è per il Milan, viene silurato allora tutto diventa più difficile. “AC Milan annuncia che Paolo Maldini conclude il suo incarico nel Club, con effetto dal 5 giugno 2023” si legge nella nota del club rossonero. “Lo ringraziamo per il suo contributo in questi anni, con il ritorno del Milan in Champions League e con la vittoria dello Scudetto nella stagione 2021/22.” Ma la decisione della società ha sconcertato calciatori e tifosi.

Vogliamo ringraziare col cuore Paolo per il lavoro fatto in questi anni” si legge in un comunicato della Curva Sud e dall’Associazione Italiana Milan Club. “Ha riportato il Milan a vincere in Italia e a essere competitivo in Europa“. “E buona parte di questi risultati vanno sicuramente ascritti a Paolo e all’instancabile lavoro fatto, contraddistinto sempre dall’amore per i nostri colori” riporta ancora la nota. “Un licenziamento non potrà mai cancellare la storia in rossonero di Paolo Maldini, grande capitano in campo ed esempio di milanismo per tutti Noi“.

Paolo Maldini da bambino con il padre Cesare, storica bandiera del Milan e allenatore della Nazionale

Maldini, sportivo di un’altra razza

Chi ha visto giocare Maldini a San Siro (come anche chi scrive) sa bene che non aveva davanti a sé un giocatore di calcio come tanti altri ma un genio, fra i più forti difensori di sempre, con un’eleganza in campo e una capacità di lettura della partita degne di un grande regista. Paolo, figlio d’arte (e anche padre d’arte), ha passato tutta la vita nel Milan. E nella Nazionale. Davanti a sé ha un comunque un grande futuro. Buona vita, Maldini.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma. Ha scritto La Storia di Asti e la Storia di Pisa per Typimedia Editore. Segui Domenico su Facebook Segui Domenico su Linkedin

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