Valentina Carnelutti: “Portare in un film aspetti complessi e controversi della vita di una donna”
Intervista esclusiva alla protagonista femminile de "L'Uomo Senza Colpa"
Dalla regia di Ivan Gergolet il 22 giugno 2023 esce nelle sale italiane L’Uomo Senza Colpa con Valentina Carnelutti, Giusi Merli, Livia Rossi, Paolo Rossi, Branko Zavrsan. La storia di una vedova in cerca di vendetta per la morte del marito, vittima dell’amianto. Vincitore del Premio Ettore Scola Migliore Regia al BIF&ST – Bari International Film&Tv Festival, il film ha raggiunto già grandi successi al Box Office in Italia. La dinamica portante di questo dramma è l’indagine nella psicologia di una vittima e di un carnefice che, nel corso della vicenda, si ritrovano a ruolo ribaltati. VelvetMAG ha raggiunto per voi la protagonista Valentina Carnelutti per affrontare alcune sfumature intense di questo film.
Valentina Carnelutti torna meritatamente protagonista di un film che, già dal titolo, introduce in una dimensione che potrebbe essere contrastante. Ci parla di un “uomo senza colpa”, quasi a voler lasciare intendere che dietro a questo titolo si nasconda, in realtà, un bagaglio di colpe da capire, condannare e forse anche perdonare. Il tema che fa da sfondo s’incentra sulle vittime dell’amianto, sulle loro famiglie, sulle conseguenze psicologiche e fisiche di una ‘lotta’ che ancora ha molta strada da fare. Ma allo stesso tempo affronta ed esplora altre dimensioni, altre violenze, altre emozioni intense e suggestive.
Sinossi del film: Angela è una donna che ha perso il marito a causa dell’amianto e dopo anni rincontra Gorian, amico d’infanzia ed ex datore di lavoro del marito. Il figlio di quest’ultimo chiede alla donna, operatrice sanitaria, di occuparsi del padre reduce da un ictus che lo ha praticamente reso inerme…
Valentina Carnelutti, intervista esclusiva a VelvetMAG
In che modo lei descriverebbe questo “uomo senza colpa”?
Per tutto il periodo delle riprese pensavo che il titolo del film potesse essere Senza Colpa, proprio per alludere alla pluralità di responsabili qualora si volesse attribuire a questi la colpa. Il film lo posso descrivere come si descrive un profumo o un vino, parlando di corposità e note e fragranze. È denso e doloroso, con note sorprendentemente e drammaticamente erotiche, mentre descrive dall’interno una realtà dal sapore amaro dell’ingiustizia. L’uomo, Franz Gorian, è un delinquente che forse non intendeva esserlo, ora vittima di un corpo che non risponde più e di una presa di coscienza più insopportabile della menomazione. Eppure, un uomo. Ed è proprio con quest’uomo che Angela si confronta.
La sua lunga carriera teatrale, cinematografica e televisiva l’ha vista immergersi in ruoli dalle diverse sfaccettature e sfumature. Le chiedo, come è stato entrare nei panni di Angela?
Entrare nei panni di Angela ed stato l’avverarsi di un sogno: quello di portare in un film aspetti complessi e controversi della vita di una donna nel corso di tutta la narrazione, di restituire alle donne, vedove dell’amianto ma non solo, vittime di abusi, madri sole, infermiere, operatrici sanitarie, un’interpretazione che rendesse loro giustizia. Angela non si ferma mai. Entrare nei suoi panni è stato questo: non fermarmi mai, pulire, sudare, faticare, piangere, risolvere, ragionare, trattenermi. Sorprendermi, nel corso delle riprese, dell’insorgere di sentimenti feroci o pieni di grazia e avere l’opportunità di metterli in scena grazie a una troupe attenta e a un collega ricettivo come Branko. Angela credo sia il ruolo più denso e controverso che io abbia interpretato, reso possibile anche grazie alla vita che ho vissuto.
La “relazione” tra Valentina e Angela
Durante la costruzione di un film si potrebbe essere portati ad empatizzare, simpatizzare e a volte anche dissentire dal proprio personaggio. Come è stato il rapporto e la relazione tra Valentina e Angela?
La relazione è iniziata anni fa quando Ivan mi ha offerto il ruolo mandandomi una sceneggiatura già molto interessante. Dopo tante revisioni al momento della versione definitiva avevo ancora solo una vaga idea di chi fosse davvero questa donna. Il primo vero contatto tra Angela e me è avvenuto quando ho seguito i provini per il ruolo di sua figlia e della sua amica Elena. Allora, rispondendo in carne e ossa e seguendo le intenzioni meticolose di Ivan, ho cominciato a capirla. Prima quello che conosco già come donna: la maternità, l’amicizia, la perdita del padre e dei figli, poi via via glia aspetti più peculiari. Solo nel corso delle riprese però, giorno dopo giorno (ho girato tutti i giorni!) ho scoperto dove si annidava, e che cosa era, il desiderio di vendetta.
E come, questo desiderio di vendetta, si tramutava in bisogno di perdono e pace, e che cosa c’entrasse con questo l’eccitazione sessuale, la solitudine, la morte. Non ero mai stanca, e il dolore dell’interpretazione era bilanciato dalla gioia immensa di essere io lì a dare voce a questa storia. Credo che questo mi abbia sostenuta nei momenti più impegnativi. Ho interrogato Ivan, a lungo e ogni giorno, sui perché di certe scelte, finché a un certo punto mi sembrava che non fosse più lui il custode del sapere su Angela, ma io. Dopo tanta frequentazione Angela era mia, ed era lui a chiedere a me che cosa pensasse o come avrebbe agito. Un tale scambio creativo è un lusso. Ho voluto capirla questa donna, amarla senza giudizio, mi ha fatto scoprire che perdono e pace sono sempre possibili anche nelle peggiori delle circostanze, e forse alleviano la pena.
Valentina Carnelutti e la “fratellanza” con il regista
Ci ha appena citato il suo rapporto con il regista. La sua esperienza l’ha portata a lavorare con registi del calibro di Marco Tullio Giordana, Giovanni Veronesi, Angelo Orlando e Paolo Virzì, solo per citarne alcuni. Le chiedo, come è stato lavorare con Ivan Gergolet?
Ivan è stato generosissimo con me, mi ha regalato prima di ogni altra cosa la sua piena fiducia nelle mie capacità. E questa mi ha stimolata a rischiare, mettermi a nudo, letteralmente, nella mia fragilità e capacità di subdola violenza, femminilità e forza e dolore. Abbiamo parlato, ci siamo ascoltati, fidati e affidati, ci siamo
anche arrabbiati nel desiderio di capirci di più. Ci siamo forse riconosciti in una strana sorta di fratellanza. Uniti per il film che era un progetto ambizioso e difficilissimo e che con tutti i suoi difetti, come una creatura, è un miracolo.
L’uomo senza colpa…
A fronte delle dinamiche che nascono lungo il corso del film, chi è per lei il vero “cattivo”?
Il film ha il pregio di non essere manicheo, non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. E “il vero cattivo” non si vede, non ha nome. È un “loro“: quelli che sapevano dell’amianto e non hanno fatto nulla per proteggere gli altri che non sapevano, quelli che se non ci fosse stato Gorian al suo posto avrebbero messo qualcun altro. Il denaro forse… E una giustizia che non ha saputo essere giusta. E collateralmente anche un sistema patriarcale che vede le donne come oggetti da abusare e in cui le stesse donne sono ignare di come funzioni il loro desiderio…
L’uomo senza colpa si costruisce anche attraverso i silenzi, gli sguardi profondi, i gesti muti, la dimensione onirica. Quanto questi espedienti hanno contribuito, dal suo punto di vista, alla riuscita del film?
Una peculiarità del film è proprio quella di affrontare un grave tema sociale dall’interno. Di raccontare l’effetto che il danno dell’amianto ha sulla vita psicologica delle sue vittime, di quelle che muoiono e di quelle che perdono i loro cari. Come la psicologia di un essere umano muta in determinate circostanze. Forse il merito quindi è quello di aver avuto il coraggio di stare sul filo, senza cedere alla più facile tentazione di dire con parole e proclami qualcosa che è dell’ordine dell’indicibile.
“Qualcosa che è nell’ordine dell’indicibile“
Una tematica che qualcuno oggi potrebbe ritenere “il passato”. Ma a distanza di 25 anni dalla Legge 257 del 1992 ancora oggi in Italia sono circa 1.500 i casi di mesotelioma pleurico causato dall’amianto. Valentina Carnelutti, le chiedo, quanto secondo lei è importante la sensibilizzazione verso questo tema, anche attraverso veicoli alternativi come, in questo caso, un film?
Credo che questo film oltre a giustamente sensibilizzare circa il tema dell’amianto – che purtroppo non è risolto!!! – vada oltre. Toccando temi che trascendono lo specifico orrore, che sono i morti di asbestosi e tumori correlati, e sensibilizza circa un tema ben più ampio e universale che è quello del perdono, della possibilità del perdono a seguito del riconoscimento della responsabilità. Ecco se un film oggi può suscitare anche solo una riflessione su questo, e quindi sulla possibilità della pace, per me vale la pena.
Valentina Carnelutti, in una sua passata dichiarazione, in occasione della candidatura al David di Donatello per La Pazza Gioia, lei si diceva grata a tutti i film (anche quelli senza riconoscimenti e premi) che le hanno “permesso di crescere e continuare a desiderare profondamente e intimamente di fare questo mestiere“. Si ritrova ancora in questa affermazione? E dunque, quanto arde ancora quel desiderio “profondo” e “intimo” di fare questo mestiere?
Il fuoco è sempre acceso! Ci pensavo proprio ieri notte, tornando a casa in bicicletta dopo una giornata di lavoro, a quanta felicità e generosità mi provoca fare il mio mestiere. Sto attenta a che la fiamma non sia spenta dalla constatazione che il lavoro fatto in questi anni non è garanzia di nulla. Il film successivo non è mai scontato, devo sempre provare le mie competenze. Il riconoscimento arriva dagli spettatori molto più che dal sistema, che io forse intimamente devo ancora capire. Ma forse per me il lavoro di attrice è proprio questo, capire il sistema, perché poi quando lavoro invece mi sento in vacanza.