Si affievoliscono le speranze di ritrovare il sommergibile Titan, disperso da domenica 18 giugno in mezzo all’Oceano Atlantico, dopo l’immersione verso il relitto del Titanic. Le 5 persone a bordo lottano per la vita in una situazione disperata.
Si tratta del milionario britannico Hamish Harding (58 anni), del businessman pakistano Shahzada Dawood (48) col figlio Suleman di appena 19 anni, dell’esploratore e pilota di sommergibili francese Paul-Henri Nargeolet (77) e di Stockton Rush (61). Quest’ultimo è il patron di OceanGate Expeditions: l’azienda proprietaria del Titan che promuove i viaggi turistici dalle coste del Canada fino in fondo all’oceano per “vedere con i tuoi occhi i resti del Titanic.”
Il Titan non era sicuro?
L’ossigeno a disposizione dei 5 passeggeri sta finendo. La riserva sarebbe disponibile fino alle 11, ora italiana, del 22 giugno. A terra montano le polemiche sul Titan: in Canada come negli Usa, si discute della sicurezza di uno scafo sperimentale che non sarebbe stato testato adeguatamente per immersioni fino a quasi 4000 metri di profondità. Ossia il livello degli abissi in fondo ai quali si trova il relitto del Titanic.
Rumori “come di colpi“
Martedì 20 giugno le squadre dei soccorritori avevano captato rumori sottomarini, tramite i sonar: come un’eco di colpi. La stessa cosa è avvenuta al mattino di mercoledì 21 giugno. Si tratterebbe di suoni martellanti a intervalli di 30 minuti. Provengono dal Titan? L’oceano è in realtà pieno di suoni. Ma la ripetizione a intervalli regolari dei rumori suggerisce che a produrli potrebbe essere stata una fonte umana.
Il caso Ara San Juan
Tra gli occupanti del sommergibile Titan c’è infatti l’ex sub francese Paul-Henri Nargeolet, che dovrebbe conoscere il protocollo per allertare i soccorsi: fare rumore per 3 minuti ogni mezz’ora. Il contrammiraglio John Mauger della Guardia Costiera statunitense, che dirige le ricerche, ha riferito che secondo gli esperti e gli equipaggiamenti il rumore captato “è generato potenzialmente” dagli occupanti dello scafo, tuttavia non ci sono conferme sulla sua natura. Potrebbero essere ‘falsi allarmi‘, come accadde nel 2017 con il sottomarino militare argentino Ara San Juan disperso nell’Atlantico e ritrovato un anno dopo a 907 metri di profondità.
Un’area grande come il Libano
Per ciò che riguarda il Titan, la rilevazione dei suoni ha portato a spostare nella zona i Rov – i veicoli sottomarini pilotati da remoto – per poi inabissarli alla ricerca del Titan usando sonar e videocamere. Finora navi, elicotteri e aerei impegnati nei soccorsi hanno setacciato 25.900 chilometri quadrati. Un’area grande quanto il Massachusetts o il Libano. E da mercoledì 21 giugno c’è anche la nave francese Atlante, dotata di un robot sottomarino, il Victor 6000. Se si riuscisse a localizzare il Titan negli abissi, recuperarlo sarebbe comunque un’enorme sfida logistica. E lo sarebbe ancor di più se si fosse incagliato tra i resti del Titanic.
Polemiche sulla sicurezza
Emergono ogni giorno di più, intanto, le preoccupazioni a proposito della tenuta dello scafo del Titan, in carbonio e titanio. Le aveva sollevate, prima di essere licenziato nel 2018, David Lochridge, ex direttore delle operazioni marittime di OceanGate Expeditions. Ma lo aveva fatto anche un altro ex dipendente, rimasto protetto dall’anonimato, che preferì dimettersi nel 2017 quando Stockton Rush respinse le sue obiezioni.
Secondo i media statunitensi, non erano mancati appelli a OeanGate sui rischi di problemi “catastrofici” per il suo “approccio sperimentale“. La Cnn ha inoltre rivelato che il laboratorio di fisica applicata dell’Università di Washington ha smentito di aver condotto test e progettazione del Titan, contrariamente a quanto affermato da OceanGate. A quanto sembra la compagnia scelse di non classificare il sommergibile tramite un gruppo indipendente del settore nautico, invocando, fra l’altro, i lunghi tempi di approvazione per una progettazione innovativa.