Raffaella Carrà, la sua vera rivoluzione è stata l’autenticità
A due anni di distanza dalla sua scomparsa, è ancora in grado di farci fare "Rumore"
Carismatica, esplosiva, “scandalosa”, Raffaella Carrà ci lasciava ormai esattamente due anni fa. Eppure è come se non l’avesse mai fatto. Ci sembra ancora di sentirla in quella risata travolgente e in quel senso di familiarità che in ciascuno di noi suscitava, come solo lei sapeva fare.
Due anni, eppure è come se fosse ancora lì, pronta a una nuova carrambata. Raffaella Carrà – per tutti noi la Raffa Nazionale – ha saputo come stare in scena e, allo stesso modo, ha dimostrato di sapere come uscirne: in grande stile. Diversamente da come ha vissuto i suoi successi e le sue gioie, condividendole con il pubblico, ha scelto di vivere quel male che l’ha logorata in gran privato, nel più totale riserbo. In un silenzio che, al contrario, ha causato un gran Rumore.
Il mese scorso, ad esempio, anche l’Italia è stata invasa dall’ondata Pride. In occasione dei numerosi cortei che si sono tenuti, sono risuonate le sue intramontabili hit. Da Pedro a Luca fino a Rumore e Ballo, Ballo, chiunque tra i presenti le ha intonate a memoria, in un coro che ha abbracciato diverse generazioni, dai fan più longevi della Raffa nazionale ai più giovani della Gen Z. Ma come può una figura così rivoluzionaria, “scandalosa” per certi versi, riuscire a mettere d’accordo proprio tutti?
Raffaella Carrà, perché è ancora oggi la più amata dagli italiani (e non solo)
Era il 1970 quando Raffaella Carrà ha segnato definitivamente la storia della televisione. Prima di allora, infatti, l’ombelico era una parte del corpo che, di per sé, non destava particolari perplessità, purché mostrata in contesti opportuni. Ebbene, in Italia tra le prime a stravolgere questa concezione – o meglio, ad estenderla – fu proprio la Raffa nazionale. A Canzonissima, quello stesso anno, il caschetto biondo più famoso della televisione apportò una significativa rivoluzione: quella specifica parte del corpo, prima di allora bandita dalla messa in onda, era approdata di punto in bianco sul piccolo schermo.
Con un costume creato ad hoc, l’artista nostrana sconvolse i benpensanti, grazie un semplice atto rivoluzionario che passava attraverso la rivendicazione e liberazione del proprio corpo. Nessuno poteva dirle come come e in che misura mostrarlo: era lei a deciderlo. Ed è stato questo modo di pensare e di intendere la vita, di lì in poi, il fil rouge della sua esistenza.
Eppure, come la stessa Raffaella Carrà ha ricordato più recentemente nel 2018, in occasione della sua nomina a Dama “al Orden del Mérito Civil” dall’ambasciatore di Spagna in Italia Alfonso Dastis: “Le ragazze d’estate già giravano così, con la pancia scoperta e i pantaloni lunghi. Io non mi sono fatta problemi a farlo vedere in tv. Ero libera. Anche i ‘colpi di testa’ erano il segno della libertà dalla lacca, dalle sovrastrutture, dalla rigidità. Io ero così, senza costrizioni“.
A onor del vero, già le gemelle Kessler l’anno precedente – sempre a Canzonissima – avevano osato, mostrando l’ombelico. Ma, di contro alla “rigidità” e alla compostezza delle due sorelle – come ha fatto notare l’autore televisivo Salvo Guercio – Raffaella Carrà era scatenata, indomabile. In una sola parola: libera. Libera dalle sovrastrutture, libera da tutto. Era quel cortocircuito necessario per sconvolgere la morale benpensante ma, al contempo, proiettarsi al futuro, in maniera smaliziata e ironica.
E poi, venne il 1971. E con il nuovo anno, grazie al testo di Gianni Boncompagni e Franco Pisano e alla coreografia di Don Lurio nacque lo “scandaloso” Tuca Tuca. Eseguito con una certa disinvoltura dalla Raffa nazionale e da Enzo Paolo Turchi, costò alla Carrà una “strigliata” da parte dell’Osservatore Romano, per via delle allusioni fin troppo spinte. Eppure, anche in quel caso, soprattutto dopo averlo eseguito in coppia con Alberto Sordi, il consenso non la abbandonò mai.
In tutte queste manifestazioni “scandalose” e rivoluzionare, Raffaella Carrà ha mantenuto un medesimo atteggiamento, che l’ha resa la più amata di tutti: la forza dirompente dell’autenticità. Anche perché in una società che promuove il conformismo e la standardizzazione, la più grande rivoluzione è la rivendicazione della propria unicità.