La copertina Capolinea Malaussène a sinistra - La foto a destra di Daniel Pennac è di ANSA/CLAUDIO PERI
Sono passati mesi dall’uscita di Capolinea Malaussène: ma per dire addio a qualcosa che abbiamo amato profondamente, come questa saga, avevamo bisogno del giusto tempo. Ho letto tutti i libri di un sorso come i piccoli della famiglia alla ricerca del “seguito” e questa volta che sapevo non ci sarebbe stato mi sono goduta un capitolo e basta per volta, per allungare al massimo la mia presenza a Belleville.
Erano i primi Anni ’90 del secolo scorso quando da adolescente comprai il mio primo Pennac: fu un colpo di fulmine quello con il Paradiso degli Orchi. Da allora lungo tutti e sette i romanzi del Ciclo Malaussène, mi sono appassionata pagina dopo pagina e amato tutti gli straordinari personaggi che hanno animato il quartiere di Belleville in quelle storie praticamente per più un trentennio (dalla prima apparizione in Italia). E a furia di “seguiti”, siamo arrivati al “capolinea” di quel mondo fantastico fatto di soprese e ritratti straordinari, che lo scrittore ha creato e deciso il momento e il modo in cui la storia della tribù più famosa della Francia contemporanea sarebbe finita. E noi siamo rimasti negli anni tutti quanti in attesa del agognato “seguito”: “Il coraggio è ascoltare il seguito. Sempre“.
L’ultimo atto della saga ha un personaggio maschile indiscusso e non è del tutto un Malaussène! Nonnino, è il demagogo super cattivo in una Belleville a tinte magicamente noir. Lui ha tirato su una generazione di malviventi insospettabili, infiltrati ovunque. Il libro riprende continuando Il caso Malaussène – in una sorta di dittico – con le amate cifre stilistiche di Pennac: un po’ spy story, un po’ giallo, ma sempre squisitamente divertente. Ma la famiglia c’è eccome in una sorta di cortocircuito generazionale: la mamma e i piccoli della tribù – Maracuja, È Un Angelo e Sigma – su tutti. Gli altri su cui erano incentrati i volumi precedenti sono sullo sfondo del racconto, nella folla colorata e multietnica a cui ci siamo abituati negli anni. Di cui abbiamo fatto parte negli anni.
La storia come sempre rivela tutto di un’umanità priva di scrupoli, capace di rapire un ragazzo (di Maracuja) e suo padre, e volersi vendicare di tutta la tribù Malaussène. E poi tutto finisce semplicemente, perché spesso emerge “(TITUS): quel lato coglione che hanno tutti, il bisogno di lasciare una firma… VERDUN: Non hanno paura di niente se non dell’anonimato.”
I Malaussène sono invecchiati con me – con tutti noi – e Pennac ci lascia un monito sempre divertente, a tratti un po’ etico per la vita senza tutta la tribù attorno: “Ti trovo sempre più severo con le persone, stai invecchiando male“. Mentre i Malaussène ci permetteranno per sempre di non invecchiare!
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