La Giornata Internazionale Contro la Tratta di Esseri Umani, il 30 luglio, è stata l’occasione per tornare sul tema degli schiavi minorenni. Bambini e ragazzi, sia maschi che femmine, che in varie zone d’Italia subiscono uno sfruttamento ignobile in condizioni di vita inaccettabili. Una questione di cui si parla poco e che invece dovrebbe essere al centro del dibattito pubblico in un paese del G20 e del G7 come il nostro.
Il rapporto della ong Save The Children Piccoli Schiavi Invisibili è giunto alla sua 13ª edizione e denuncia quest’anno le condizioni drammatiche di vita in cui si trovano i minori e le loro famiglie vittime dello sfruttamento lavorativo nel settore agricolo. Il rapporto prende in esame soprattutto 2 fra le aree italiane dove lavorano i nuovi schiavi: la provincia di Latina e la cosiddetta Fascia Trasformata di Ragusa. Territori raccontati dalla giornalista Valentina Petrin, co-curatrice del rapporto, con Antonella Inverno di Save The Children.
Schiavi fin dalla nascita
Il focus del rapporto è dedicato quest’anno a quei bambini, bambine e adolescenti che crescono in aree dove la condizione di sfruttamento dei genitori li rende vittime, sin dalla nascita. Vittime di un sistema di violazione dei loro diritti basilari. Una vita in cui i genitori sono schiavi del lavoro sfruttati da padroni senza scrupoli e dove quindi anche i bambini rischiano fortemente di diventare vittime dello sfruttamento. In Italia e nel mondo una vittima dello sfruttamento lavorativo o sessuale su tre è una persona minorenne.
Bambini non censiti all’anagrafe
Ciò che emerge dal rapporto Piccoli Schiavi Invisibili, è la fotografia di bambine e bambini figli di braccianti sfruttati che spesso trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna nei terreni agricoli, in condizioni di forte isolamento, con un difficile accesso alla scuola e ai servizi sanitari e sociali. “Sono tantissimi – spiegano da Save The Children – e, nonostante alcuni sforzi specifici messi in campo, sono per lo più invisibili per le istituzioni di riferimento“. Si tratta di bambini e ragazzi “non censiti all’anagrafe, ed è quindi difficile anche riuscire ad avere un quadro completo della loro presenza sul territorio“.
Lo sfruttamento in agricoltura
Il fenomeno degli schiavi, adulti e minorenni, nel settore agricolo si concentra dove c’è più lavoro, come nel caso di alcuni distretti strategici per l’agroalimentare italiano. Proprio come le province di Latina e di Ragusa: lì ci sono terreni che consentono la coltivazione intensiva. Una forma di lavorazione dei prodotti che richiede una forte presenza di manodopera anche per la raccolta e l’imballaggio dei prodotti agricoli. E dove sono nati due dei mercati ortofrutticoli più importanti di tutta Italia: il MOF – Centro Agroalimentare all’Ingrosso di Fondi (Latina), e l’Ortomercato di Vittoria, nel Ragusano.
Su 230mila sfruttati, 55mila donne
Secondo una stima del 2021, gli occupati irregolari nel settore dell’agricoltura in Italia sono circa 230 mila, con una massiccia presenza di stranieri non residenti e un numero consistente di donne coinvolte, ovvero 55 mila.
La maggior parte delle vittime di tratta e sfruttamento nel mondo restano invisibili. Nel periodo 2017-2020 gli schiavi identificati a livello planetario non hanno superato i 190.000 casi. Chi ha sofferto di più per mano dei trafficanti, secondo gli ultimi dati, sono state le donne, cioè il 42% e i minori, il 35%, mentre le principali forme di sfruttamento sono state di tipo lavorativo o sessuale.
Le difficoltà economiche e il ricatto dello sfruttamento che schiacciano molte famiglie sono parte integrante della vita di bambine e bambini. I quali vivono completamente isolati dai contesti urbani e gli uni dagli altri, senza piazze o spazi comuni in cui giocare, senza centri sportivi o aggregativi, in condizioni abitative spesso malsane o al limite, degradate e affollate, con 2 o 3 famiglie a dividersi 55 metri quadrati. Il rapporto di Save The Children sottolinea come i genitori schiavi a volte muoiono, e i bambini restano orfani. Come nel caso di G., che ha 9 anni, e a scuola con grande lucidità ha detto: “Maestra, papà è morto di lavoro!” dopo aver perso il padre stroncato a 40 anni da un infarto mentre lavorava nei campi.
La scuola, arma contro la schiavitù
La negazione del diritto all’educazione per bambine e bambini è uno dei rischi principali di questa situazione. L’assenza di ogni dimensione sociale organizzata e condivisa per i minori, fa della scuola l’unica forma per contrastare l’isolamento dei bambini che altrimenti diverranno schiavi sfruttati come i genitori. Tuttavia, la mancanza di un adeguato sostegno linguistico è un grave ostacolo per studenti, famiglie e insegnanti. Nella provincia di Latina, ad esempio, più della metà degli operai agricoli censiti/regolari (13.000 su un totale di 20.000), sono di origine straniera, in prevalenza indiana. Una proporzione che si rispecchia anche tra gli studenti di alcune scuole primarie.
Esclusi anche per la lingua
Nello scorso anno scolastico, nell’area di Bella Farnia (a Sabaudia, Latina), la mediazione culturale in affiancamento ai docenti era un servizio comunale, ma si limitava a 8 ore al mese, troppo poco per bambine e bambini che non hanno né tempo pieno né doposcuola gratuito. I genitori non possono aiutarli nello studio perché lavorano nei campi dall’alba a notte fonda. Nella Fascia Trasformata di Ragusa, dove le aziende agricole impiegano ufficialmente 28.274 lavoratori di cui poco più di 15.000 italiani e 12.653 stranieri, soprattutto romeni e tunisini in particolare, l’esclusione sociale si radica dalla nascita.
In alcuni casi, il percorso scolastico si interrompe a causa del coinvolgimento dei minori nello sfruttamento lavorativo, già a partire dai 12-13 anni. Con paghe che si aggirano intorno ai 20-30 euro al giorno. Si può trattare di un lavoro a tempo pieno o, più spesso, limitato al tempo extra-scolastico quotidiano o estivo. O di un impegno che può iniziare già all’età di 10 anni per “dare una mano” nel periodo di raccolta. Ciò comporta difficoltà nel fare i compiti e un deficit nel rendimento scolastico, a volte anche a bocciature nelle scuole medie, e a un ingresso ritardato alle superiori a 16 o a 17 anni.
S. e il ‘profumo‘ del pesticida
Nel rapporto di Save The Children si racconta la storia di S., una ragazza di 14 anni, che ha iniziato a lavorare quando ne aveva 13, impacchettando ortaggi o “bombando i fiori“. Ossia spargendo gli antiparassitari sulle coltivazioni, senza protezioni per le mani e per la bocca. Lei a scuola ci va lo stesso, ma capita che per la stanchezza si addormenti sul banco. Un’esperienza comune, tra quelle dei minori schiavi che si raccontano nel rapporto. “Io lavoro anche in serra, raccolgo le verdure, poi pompiamo i fiori per far sì che non si ammalino. Un po’ mi dà fastidio respirare il pesticida, ma è diventato il mio profumo ormai” […] A volte lavoriamo anche tutta la giornata, se non andiamo a scuola. Lo sanno tutti che siamo minorenni“.