Aleksey Navalny, 47 anni, politico, arrivista per i diritti e blogger russo, ha ricevuto una nuova condanna dal regime putiniano a 19 anni di carcere. Navalny, già in carcere a seguito di precedenti procedimenti penali, è sotto accusa di “estremismo“.
La notizia della condanna è arrivata il 4 agosto, riportata da Novaya Gazeta Europa. La pubblica accusa aveva chiesto 20 anni di reclusione per il dissidente, che il 3 agosto aveva affermato di aspettarsi una sentenza stalinista e una condanna pesante.
“Estremista” perché avversario di Putin
Le accuse rivolte a Navalny sono di evidente matrice politica, tipiche di un regime dittatoriale come è ormai diventata la Russia di Putin. Un paese in cui, dallo scorso aprile, il Consiglio Federale, la Camera alta del Parlamento, ha votato una legge che punirà con l’ergastolo e la revoca della cittadinanza coloro che criticano l’ “operazione militare speciale“, cioè l’invasione dell’Ucraina.
Alexei Navalny si trova in carcere già da più di due anni e mezzo. Le autorità russe, nel 2021, avevano bollato come “estremiste” sia la rete dei suoi uffici in Russia che la sua Fondazione Anticorruzione. Un ente di giornalismo e inchieste indipendenti le cui attività negli anni passati hanno più volte messo in imbarazzo il Cremlino e lo stesso Vladimir Putin, smascherando le nefandezze degli alti papaveri del regime. Il processo appena conclusosi con la nuova condanna a carico di Navalny si è svolto a porte chiuse nel carcere in cui l’oppositore si trova, a 200 chilometri da Mosca.
Chi è Alexei Navalny
Il principale avversario politico di Putin era finito agli arresti nel gennaio del 2021, non appena aveva rimesso piede a Mosca arrivato da Berlino. La Germania si era fatta carico delle sue cure a seguito di un grave avvelenamento che quasi certamente avevano ordito i servizi segreti russi. Oggi Alexei Navalny continua a denunciare soprusi in carcere, a cominciare dal fatto che le autorità del penitenziario in cui si trova lo hanno più volte rinchiuso in un’angusta cella di punizione con i pretesti più inconsistenti.
La vicenda del dissidente è al centro del documentario Navalny di Danel Roher che in America ha vinto Il Premio Oscar 2023. Oltre che inventore della Fondazione Anticorruzione, il blogger è anche il presidente di Coalizione Democratica, che raduna alcuni partiti di opposizione. Negli anni passati ha co-presieduto questa formazione politica con Boris Nemtsov, morto assassinato nel febbraio 2015. Una figura importante che si sospetta ucciso dai servizi segreti del FSB su mandato dell’entourage del presidente russo, se non su mandato dello stesso capo del Cremlino. Nel 2021 Amnesty International ha riconosciuto Alexei Navalny “prigioniero di coscienza“.
L’avvelenamento
Esattamente 3 anni fa, nell’agosto del 2020, l’aereo in volo dalla Siberia a Mosca su cui Navalny viaggiava effettuò un atterraggio di emergenza a Omsk perché lui si sentì male. La moglie Julia e i suoi colleghi, convinti che fosse stato avvelenato, e terrorizzati da ciò che gli avrebbe potuto accadergli in un ospedale della Siberia, si precipitarono a Omsk nel tentativo di portarlo in Germania. Il progetto riuscì.
Le autorità sanitarie tedesche curarono il paziente salvandogli la vita e confermarono l’ipotesi dell’avvelenamento. Le analisi su Navalny avevano rivelato la presenza del Novichok: potente agente nervino già utilizzato per avvelenare nel 2018 in Inghilterra l’ex spia Sergej Skripal, sopravvissuto insieme alla figlia. Con l’aiuto dei suoi collaboratori Alexsei Navalny riuscì a orchestrare una telefonata a un agente segreto del FSB in cui l’uomo parlando con l’oppositore di Putin spacciatosi per uno dei suoi superiori, ammise l’avvelenamento e che “qualcosa è andato storto“. Dopo la sua decisione di tornare in Russia, Navalny è stato arrestato. E ora, dopo l’ennesimo processo, rischia di passare in carcere il resto della sua vita.