Cagliostro: il “divo” italiano che irretì l’Europa
Genio della truffa, il "divino", quell'esistenza straordinaria giustiziata dal Vaticano
“Giuseppe Balsamo, soprannominato conte di Cagliostro, di Palermo, battezzato, ma incredulo, eretico, celebre per fama cattiva, dopo aver diffuso in diverse nazioni d’Europa l’empia dottrina della massoneria egiziana, alla quale conquistò, con sottili inganni un infinito numero di discepoli, incappò in varie peripezie, alle quali si sottrasse senza danno, grazie alla sua astuzia e abilità: finalmente per sentenza della santa Inquisizione relegato a carcere perpetuo nella fortezza di questa città, con la speranza che si ravvedesse, avendo sopportato con pari fermezza e ostinazione i disagi del carcere per 4 anni, 4 mesi, 5 giorni, colto da un improvviso colpo apoplettico, di mente perfida perfida e malvagio malvagio cuore com’era, non avendo dato il minimo segno di pentimento, muore senza compianto, fuori della comunione di santa madre Chiesa, all’età di 52 anni, 2 mesi, 18 giorni.”
E’ quanto recita l’atto di morte stilato il 26 agosto del 1795 da don Luigi Marini. Siamo a San Leo, la fortezza in cui il Vaticano lo aveva recluso per essere stato il “divino” Cagliostro. Le leggende sul finale della sua vita fiorirono immediate. Un semplice colpo apoplettico non poteva aver concluso quella esistenza straordinaria, come la ricostruisce Anna Piano nel suo Cagliostro Genio della truffa. La più fantasiosa è che sia riuscito a prendere le sembianze di un frate sceso nella sua cella per confessarlo e sia riuscito a fuggire. Ma così non è stato.
Cagliostro: l’uomo che irretì l’Europa della Rivoluzione
“Un genio, il suo, che consisteva in follia, speranze, paura. Ne resta il ricordo di una figura leggendaria che rifiutò di rientrare nella norma. Salvò la sua leggenda sino alla fine: violento e ribelle, sarcastico e umilmente quietato, ma solo per poche ore… poi di nuovo in rivolta contro tutti…”. Sono ancora le parole di Anna Piano a riportarci a chi è stato Giuseppe, Giovanni, Battista, Vincenzo, Pietro, Antonio, Matteo, Franco Balsamo, noto con il nome d’arte di Alessandro, conte di Cagliostro. Palermitano di origini (nato il 2 giugno del 1743) e aspetto, capace di irretire da avventuriero, truffatore, alchimista, quasi medico e soprattutto esoterista l’Europa intera. Orfano di padre, educato dagli Scolopi e poi in convento. Per ironia tragica del destino è “finito” per volere della stessa longa manus del Vaticano che lo aveva “iniziato”.
Non certo prima che girasse l’Europa a suo modo, una sorta di “novello Ulisse”, in quel secolo dei Lumi che ancora non sapeva di essere tale. La prima tappa è Messina dove incontra la magia in un greco-levantino di nome Altotas, il suo primo maestro con cui viaggia in Egitto, a Rodi e a Malta, dove entra nel 1766 nell’Ordine dei Cavalieri. Una sorta di presagio per quello che accadrà solo dopo che nel suo peregrinare in Nord Europa entrerà in contatto con la massoneria.
Lorenza Feliciani: la prima donna a determinare il tragico destino del “divino” Cagliostro
Sono due gli episodi che segnano irrimediabilmente la sorte del Conte di Cagliostro. Tra i tanti vaticini si dimentica di guardare cosa hanno in serbo per lui le donne nella sua vita. Il primo risale al 1768: il 21 aprile, Giuseppe Balsamo sposa Lorenza Serafina Feliciani. Nata nel 1751, analfabeta, e da lui trasformata in nobildonna prima, e sacerdotessa poi, del rito massonico egizio. Ma questo è il poi, in quei giorni Giuseppe Balsamo mantiene la famiglia facendo il falsario. Una denuncia lo costringe a riparare in Francia (qui incontra anche Giacomo Casanova che lo apostrofa come “un genio fannullone che preferisce una vita di vagabondo a un’esistenza laboriosa“, poi in Spagna e Portogallo).
Ed è sempre in questo momento che nasce il mito di Lorenza cortigiana: “la più bella donna di Roma del suo tempo” – come viene apostrofata – diventa instrumentum divi per attirare “ricchi polli” da spennare. Mentre il Conte di Cagliostro dispensa denari ai bisognosi che cura con unguenti e tecniche tutte sue. Come sono tutti suoi – e tali rimarranno per volere del Santo Uffizio, che alla fine condanna la sua opera e non lui al rogo – le formule dei preparati che garantiscono di ringiovanire e la lucrosa cosmesi.
A Parigi irrompe la prima crisi di coppia: Lorenza ha un’amante e per lui lascia Cagliostro. Lei lo denuncia per incitamento e sfruttamento della prostituzione, lui per adulterio e abbandono del tetto coniugale. Viene arrestata, e, dopo quattro mesi, accetta di ritirare le accuse e tornare dal marito in cambio del suo rilascio. Riprende il peregrinare: Belgio, Germania, Malta, ma soprattutto nel luglio 1776, il ritorno a Londra. Qui sono già il Conte e la Contessa di Cagliostro, e vengono a contatto con la loggia francofona della massoneria: L’Espérance. Molte le realtà della fratellanza che lo hanno accolto negli altri, per taluni era anche un Rosacroce.
Il cardinale Rohan, la truffatrice De la Motte e la collana della regina Mariantonietta
Il secondo episodio cruciale di questa vita straordinaria è un crocevia di donne pericolose. Non bastano i suoi presunti poteri – specie quello di tramutare il piombo in oro, che spiegherebbe l’enorme disponibilità di denaro che ha accompagnato tutta la sua vita; l’evocare gli spiriti, le tisane miracolose – a salvarlo dallo scandalo che sconvolge la Francia del tempo. Siamo a Strasburgo in realtà quando entrano in scena le altre donne che ne segnano la rovina: in primis la regina Maria Antonietta; e con lei la Delamotte. Ma queste donne irrompono nella sua vita per colpa del cardinale Louis René Édouard de Rohan. Osteggiato dalla corte asburgica, si prodiga a lungo per rientrare nelle grazie della giovane regina di Francia.
Il piano diventa invece un celeberrimo scandalo: quello della collana (Dumas lo ha infilato nel mito dei suoi Moschettieri). La truffa è colossale: nel mezzo l’acquisto di un gioiello del valore pari a 500 kg d’oro; per conto della regina che non può senza finire nel mirino dell’opinione pubblica aversa. Senza essere colpevole Cagliostro finisce alla Bastiglia. Stessa sorte per Lorenza, che forse in quei giorni matura la decisione di tradirlo per sempre. Ad ordire la trama una coppia di avventurieri: il conte e contessa De la Motte, che usano il prelato come garante con l’orafo. Non riuscendo a vendere l’oggetto accusano Cagliostro di aver ideato il piano. Anche se riconosciuto innocente non è più persona gradita in terra di Francia.
La Massoneria e la condanna scritta della Chiesa di Roma
Risolto il caos della collana – soprattutto grazie alle sue lettere al popolo e al parlamento di autodifesa – decide di accelerare verso il suo destino, cristallizzando il Rito Egizio all’interno della Massoneria. Si autoelegge Gran Cofto e crea sua moglie – chiamata principessa Serafina e Regina di Saba – Gran Maestra del Rito d’adozione (la Loggia riservata alle donne, n.d.r.). Sono due spie vaticane a tendergli la trappola: dimostrano l’appartenenza alla società massonica. A ciò si aggiunge la denuncia di Lorenza al parroco di Santa Caterina della Rota, che arriva dritta all’Inquisizione. Dopo l’arresto Cagliostro venne rinchiuso a Castel Sant’Angelo, Lorenza trova ricovero in convento. A condividere il loro destino anche un cappuccino iniziato.
La lista delle accuse assai pesanti è lunga: esercizio dell’attività di massone, magia, bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi e la religione cattolica, di lenocinio, falso, truffa, calunnia e pubblicazione di scritti sediziosi. Siamo agli albori della Rivoluzione Francese e la preoccupazione politica del Vaticano è evidentemente spegnere ogni miccia potenziale. La difesa lo presenta come un semplice ciarlatano, per evitare l’accusa più grave – quella di eresia – vittima di una “prostituta, una donna immorale e pertanto inattendibile”. Di tutto colpevole quanto il marito. Alla fine del Settecento anche a Roma i tempi sono cambiati.
La condanna di Cagliostro si compie con il pubblico rogo della sua opera e dei suoi strumenti. Ma non appare sufficiente: l’autorità Vaticana, siamo ancora ai tempi del Papa Re, viene dato alle stampe un Compendio sul caso per spiegare al pubblico di tutta Europa – vorace e partigiano pro Cagliostro da sempre – la validità della sentenza. Ma neppure questo intacca la fama del divino avventuriero, inviso alle autorità in generale, e condannato ad essere sepolto senza cassa e lapide a San Leo.