Si vis pacem para bellum? Non è vero
Il motto dei romani ha retto il mondo. Ma un mondo sempre più pieno di guerre. In realtà la pace si prepara con la pace e non col riarmo
Come costruire la pace? In questi 18 mesi di guerra in Ucraina è tornato in auge il motto latino si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra) che dovrebbe descrivere la modalità perfetta per il raggiungimento dell’assenza di conflitti fra i popoli. Le spese per il riarmo sono aumentate nel mondo e in particolare fra gli Stati europei confinanti con la Russia, oltreché, in generale, fra i paesi NATO.
Sulla fine dei conflitti è intervenuto di recente – in senso completamente opposto – il cardinale Matteo Zuppi, inviato di papa Francesco per la pace in Ucraina. A favore della fine della guerra l’Unione Europea “fa troppo poco, dovrebbe fare molto di più” ha detto Zuppi. “Deve cercare in tutti i modi di aiutare iniziative per la pace, seguendo l’invito di papa Francesco a una pace creativa“.
Il progetto di Zuppi
Queste le parole del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, in occasione del Meeting di Rimini. Su mandato di papa Francesco, Zuppi è da mesi impegnato in una delicata missione di pace per riaprire il dialogo sull’Ucraina. “Se si è trovato un accordo sul grano, lo stesso si può fare per mettere fine alle ostilità” in Ucraina. E ancora: “Non possiamo mai abituarci alla guerra. La pace è sempre possibile, bisogna però volerla e andare a cercarla a ogni costo, nei modi giusti e con forte determinazione“.
Per risolvere il conflitto tra Ucraina e Russia “ci vuole la capacità di mettere insieme i vari attori, coinvolgendo tutti“. Inoltre, afferma il cardinale “dovremmo cercare una ripresa dello spirito europeo, essere consapevoli di quanto questo sia indispensabile se vogliamo garantire ai nostri figli un futuro di pace“. “Certo – ha proseguito Matteo Zuppi – il sogno di un’amicizia di tutti i popoli, e lo sappiamo, si scontra con la tentazione di restare ripiegati su se stessi. O peggio di cercare sicurezza alzando nuove frontiere, con antagonismi e polarizzazioni che perdono l’insieme. È sempre pericoloso, perché vuol dire anche non capire e non aiutare a trovare le soluzioni”.
Cos’è la pace “giusta“
Ma la pace, secondo il presidente della Cei, deve essere soprattutto giusta. “Tutti quanti vogliono la pace, perché la guerra è terribile. Le ragioni degli uni e degli altri, invece, portano purtroppo a punti di vista molto diversi. Queste diversità non devono far perdere a noi la chiarezza della responsabilità, dell’aggressore e dell’aggredito. Dobbiamo credere che ci sia un modo per arrivare a una pace giusta e sicura non con le armi ma con il dialogo. Questo non è mai una sconfitta e richiede garanzie e responsabilità da parte di tutti“.
Dopo essere stato a Kiev, a Mosca e a Washington, l’inviato di pace del Papa attende di andare anche a Pechino. Anche la Cina, dopo alcuni tentativi della Turchia, ha fatto la sua mossa per la pace. Nel febbraio scorso Pechino ha presentato il documento intitolato la Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina. Si tratta di un dossier in 12 punti, con in testa il rispetto della sovranità e dell’indipendenza, seguiti da dialogo e cessate il fuoco, no all’uso di armi nucleari e agli attacchi alle centrali atomiche a uso civile.
C’è poi un piano di pace brasiliano. Né Putin né Zelensky possono “volere tutto” sostiene il presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che ha incontrato a Roma papa Francesco lo scorso 22 giugno per parlare di pace. Secondo lui la Russia dovrebbe lasciare il territorio ucraino e l’Ucraina dovrebbe rinunciare a rivendicare la Crimea, annessa da Mosca nel 2014. Lula avrebbe dovuto incontrare il presidente ucraino al G7 di Hiroshima, ma il faccia a faccia tra i due è saltato.
Segnali di speranza
A fronte di tutto questo c’è però il rapporto dell’Institute for Economics and Peace, secondo cui, come sottolinea su Avvenire Francesco Gesualdi, già l’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014 provocò una crescita delle spese militari di tutti i paesi dell’area. Non soltanto, cioè, dell’Ucraina ma anche degli Stati baltici. Aumentando i venti di guerra, aumentarono le spese militari. In Africa occidentale, invece, la fine delle guerre in alcun paesi, come Liberia, Sierra Leone e Costa d’Avorio, ha fatto sì che i paesi vicini abbiano ridotto le spese militari e aumentato quelle sociali. Il terrorismo jihadista sta massacrando il Sahel ma è quasi scomparso dalla fascia costiera dell’Africa occidentale. Se si prepara la guerra si ottiene guerra (vedi Crimea 2014); se si cessa la guerra allora possono davvero nascere semi di pace (vedi Liberia, Sierra Leone e Costa d’Avorio).