L’analisi del Dna ha confermato la morte del leader della Wagner Prigozhin. A renderlo noto è stato il Comitato di inchiesta russo che ha citato l’esito delle analisi genetiche. Dove “secondo i risultati anche tutte le identità delle 10 vittime vengono confermate“, ha fatto sapere il Comitato.
Secondo un sondaggio, eseguito nove ore dopo lo schianto dell’aereo, dell’Open Minds Institute per il Sunday Times, solo l’8% dei russi crede che Vladimir Putin sia responsabile della morte del capo dei mercenari Wagner. Inneggiando anche sui social ad un possibile zampino “anglosassone”. Ma gli esperti adesso guardano soprattutto al destino della Wagner in Africa. Chi riempirà quel “vuoto” politico militare? Le milizie potrebbero ribellarsi e rivendicare il proprio potere contro Mosca?
La Wagner senza Prigozhin: gli affari in Africa e la sopravvivenza dell’organizzazione
La narrativa dei media occidentali non lascia molto spazio ai dubbi circa le responsabilità del Cremlino sulla morte del numero 1 della Wagner. Putin avrebbe fatto fuori un “alleato” ormai scomodo, per lanciare un chiaro messaggio a chi volesse sfidare il suo potere in futuro. Lasciando però allo stesso tempo un certo margine di mistero e di dubbio circa il reale coinvolgimento del Cremlino. Non sono pochi gli esperti che a seguito del tentato golpe del 24 Giugno, avevano già definito Prigozhin come “un morto che cammina”. Ritenendo che questo lasso di tempo sia servito solo a Mosca per riorganizzare determinati asset di potere all’interno dell’apparato russo. Che ora si prepara a fare a meno di Prigozhin, ma probabilmente non della Wagner. Siti molto vicini all’organizzazione paramilitare a seguito della notizia della morte del loro leader hanno difatti invitato i miliziani alla calma ed evitare una reazione armata. Dal canto loro, nonostante la propaganda di diffamazione diffusa in questi mesi per volere del Cremlino, i media russi hanno parlato della morte di Prigozhin come quella di un eroe.
Dunque riguardo il destino della Wagner non è ancora detta l’ultima parola. L’organizzazione potrebbe non essere morta e addirittura rinnovarsi, come una grande azienda che perde il suo fondatore. Ma gli esperti si interrogano oggi soprattutto sul suo destino in Africa. Dove la morte di Prigozhin ridisegna inevitabilmente la strategia militare russa nello scenario sempre più cruciale del continente africano. In cui la Wagner ha saputo sapientemente tessere le sue fila, sfruttando una sempre più crescente insofferenza verso gli occidentali in tutta l’Africa subsahariana, sopratutto nei confronti dell’ex potenza coloniale francese. Supportando con la sua presenza i poteri locali in chiave anti-jihadista e anti-occidentale, la Wagner ha spesso lavorato nell’ombra e in segreto, cominciando a “combattere” prima che Mosca mandasse le proprie truppe regolari. Come in Siria, dove si schierò accanto al regime di Assad molto prima che Mosca si decidesse a mandare un contingente delle sue forze regolari, nel 2015.
La contesa dell’Africa: il nuovo ruolo della Turchia e la debolezza dell’Europa
Ma c’è un altra potenza che è pronta ad agguantare gli spazi lasciati dagli europei e guadagnare terreno laddove la presa della Wagner dovesse indebolirsi. Assieme all’influenza esercitata dalla Cina, a farsi avanti come pretendente c’è anche la Turchia del presidente Erdogan. Negli ultimi vent’anni, la Turchia è diventata uno degli attori più presenti nel continente africano. Se nel 2009, Ankara aveva solo 12 ambasciate in Africa, oggi ne ha 43. Erdogan ha visitato 27 nazioni africane, più di qualunque altro leader internazionale. Truppe turche sono presenti in Somalia, Mali, Centrafrica, Libia e a Gibuti. Il presidente turco sta tentando sapientemente da anni di colmare il vuoto di potere lasciato dalla Francia nel Sahel, dopo la riduzione delle truppe dispiegate nella regione per l’Operazione Barkhane.
Gli Stati africani inoltre si stanno affermando come destinazione privilegiata delle esportazioni di armamenti made in Turkey, con una tendenza data in esponenziale aumento. Incoraggiando così non solo la crescita dell’industria militare turca, ma soprattutto permettendo ad Ankara di instaurare relazioni sempre più intime con le forze armate locali. I Paesi africani hanno sperato in tutti questi anni di poter giocare un nuovo ruolo nella globalizzazione, grazie ad un nuovo approccio politico promesso più volte in campagna elettorale dal presidente francese Emmanuel Macron. E dall’Unione Europea, che non si è dimostrata capace di offrire a questi Paesi alcuna soluzione di ampio respiro. Mentre la Russia, con “l’ausilio” della Wagner, oggi sembra esserci riuscita. E se l’Europa non dovesse cambiare rotta, un domani non troppo lontano il sorpasso ai danni persino della Russia potrebbe arrivare dalla Turchia.