Si riapre nel segno della speranza il caso dell’omicidio del ricercatore friulano Giulio Regeni. Ventotto anni, Regeni è stato sequestrato, torturato e assassinato al Cairo, in Egitto, fra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016. “Fiumi di emozioni che si intrecciano, si separano e si ricongiungono. Ci siamo tutti svegliati un po’ più tutelati e fiduciosi. Finalmente. Grazie” scrive sui social media Irene Regeni, sorella di Giulio.
Il 27 settembre, dopo quasi un anno e mezzo dalla sospensione formale del processo a Roma (aprile 2022), la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che impediva lo svolgimento delle udienze. Adesso, dunque, esse potranno riprendere. E ciò malgrado sia impossibile notificare agli imputati l’esistenza di un procedimento penale a loro carico. Era infatti questo lo ‘scoglio’ giuridico in base al quale il Gup di Roma, Roberto Ranazzi, aveva sospeso il procedimento. Scoglio che adesso è superato, grazie all’intervento della Corte Costituzionale.
Cosa afferma la Consulta
Al processo per l’omicidio di Giulio Regeni sono imputati il generale Tariq Sabir, e i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abedal Sharif. Si tratta di 4 agenti dei servizi segreti dell’Egitto, fino a oggi tutelati dallo Stato egiziano che si è rifiutato di collaborare affinché ciascuno di essi ricevesse al proprio indirizzo, in base alla legge italiana, la notifica del processo a proprio carico. Di conseguenza il Gup di Roma aveva dovuto sospendere il processo, salvo che adesso, intervenendo la Corte Costituzionale, le cose cambiano.
Sul caso Regeni la Corte costituzionale, anche detta Consulta, ha infatti precisato di avere “dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice proceda in assenza (dell’imputato, ndr.) per i delitti commessi mediante gli atti di tortura“. E questo “quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo. Fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa“.
Le reazioni
Il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, ha espresso “grande soddisfazione” per la possibilità di “celebrare un processo secondo le nostre norme costituzionali che restano il faro del nostro lavoro. Per il resto aspettiamo le motivazioni per vedere come procedere sperando di trovare la parte civile al nostro fianco nelle fasi successive“. Dopo la decisione della Corte costituzionale, la famiglia di Giulio Regeni – il padre Claudio, la madre Paola e la sorella Irene – ha affermato: “Avevamo ragione noi: ripugnava al senso comune di giustizia che il processo per il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio non si potesse celebrare a causa dell’ostruzionismo della dittatura di al-Sisi. Per conto della quale i quattro imputati hanno commesso questi terribili delitti“.
In effetti, prosegue il comunicato della famiglia Regeni, firmato anche dall’avvocato Alessandra Ballerini, “come ha scritto il Gup Ranazzi nella sua ordinanza ‘non esiste processo più ingiusto di quello che non si può instaurare per volontà di un’autorità di Governo’. Abbiamo dovuto resistere contro questa volontà dittatoriale per sette anni e mezzo confidando comunque sempre nei principi costituzionali della nostra democrazia. Ringraziamo tutte le persone che hanno sostenuto e sosterranno il nostro percorso verso verità e giustizia: la procura di Roma e in particolare il dottor Colaiocco, la scorta mediatica, e tutto il popolo giallo” conclude la nota.