Alla Festa del Cinema di Roma “Mur” di Kasia Smutniak: un diario intimo e una denuncia
Un documentario intenso che tenta di riconciliarsi con il passato e illustra un presente pieno di barriere
In anteprima per la 18^ Festa del Cinema di Roma, l’esordio alla regia di Kasia Smutniak che ha curato la scrittura insieme a Marella Bombini. Un ritorno al passato per l’attrice di origini polacche che si esplica in Mur. Prodotto insieme alla regista e interprete anche da Domenico Procacci e Laura Paolucci.
Il 20 ottobre è uscito nelle sale cinematografiche italiane Mur, il film sceneggiato, prodotto e diretto da Kasia Smutiniak. Un lungometraggio che ha più le caratteristiche di un vero e proprio documentario, che non parla di guerra, benché sia girato nel cuore di una guerra. O che forse di conflitto ne parla, ma da un’altra prospettiva. Quella del soccorritore, di chi si trova ‘nella terra di mezzo’, di chi non appartiene al popolo vinto, o al popolo vincitore. Protagonista indiscusso il muro: quello concreto che ai confini polacchi è stato eretto per impedire il passaggio oltre la frontiera. E il muro umano fatto di domande senza risposte, di ‘perché’ a cui è difficile dare una spiegazione. Per Kasia Smutniak si tratta di un ritorno al passato, alla terra d’origine. Lì, dove un tempo c’era il ghetto ebreo (e che ancora oggi ne custodisce il cimitero) e lì, dove oggi ai confini, nei boschi, si trovano i profughi in cerca di asilo.
Il contesto politico in cui si ambienta Mur
Per comprendere più profondamente Mur è necessario ambientarlo nel suo contesto politico. Dal 2021 il confine tra Polonia e Bielorussia è al centro di una delicata crisi umanitaria e diplomatica. Il cuore della crisi vede come sciagurati protagonisti i migranti che arrivano dall’Africa e dalla Siria e che affrontano la rotta balcanica per entrare in Europa. Ma queste persone sarebbero respinte sia dalla Bielorussia, che li rimanda verso paesi EU tra cui la Polonia, e la Polonia stessa. Il risultato sono centinaia di uomini, donne, anziani, bambini, invalidi, persone ammalate che si trovano nella foresta millenaria di Białowieża. A questo si aggiunge la costruzione del muro, che segue l’interno confine della Polonia, conclusasi nel 2022. Ed è proprio questo muro che si è trovato al centro delle attenzioni di Kasia Smutniak, tanto da trasformarsi in una vero e propria ossessione per il Mur.
La costruzione di questo elemento separatore e respingente è stato fortemente criticato da moltissime associazioni umanitarie. Tante delle quali avrebbero raccontato che i migranti fossero costretti a rimanere per settimane bloccati in una striscia di terra larga poche centinaia di metri, circondati dalla foresta e esposti all’inverno gelido. Nel frattempo il governo polacco ha poi istituito una zona rossa per impedire il passaggio di volontari e giornalisti indipendenti. La testimonianza di quanto accaduto arriva dai soccorritori che, agendo in quella che il governo ha definito come azione illegale, ha messo a rischio la propria stessa vita. Questo il racconto di Mur. Un racconto che, seppur privo di immagini particolarmente strazianti, espone una tragedia narrata, una paura percepita, un’irrisolta richiesta di spiegazioni.
Kasia Smutniak racconta Mur
Quello che emerge dal racconto della stessa regista è la forza dell’azione volontaria di tante persone che, in qualche modo, sono diventate soccorritori ‘per caso’. Kasia Smutiniak, nella conferenza stampa in occasione dell’anteprima del film alla 18^ Festa del Cinema di Roma ha ammesso, parlando del suo viaggio: “Io ero attratta dal fatto di mettere a confronto il presente e il passato. Attraverso la storia della mia famiglia e i luoghi che hanno una storia, una memoria“. Un filo, dunque, che potesse unire le vicende di oggi con quelle di ieri e mostrare quell’altra faccia della guerra, quella fatta di volti, di persone, di cuori. “Non è possibile capire certi conflitti senza avere un quadro completo“. Ed è da questo che nasce l’ossessione per Kasia verso il muro. Quello che voleva essere un racconto diventa un diario intimo e allo stesso tempo di denuncia: “C’era qualcosa che non capivo e che volevo esplorare“.
A rendere poi, forse paradossalmente, più realistico il racconto l’utilizzo dei mezzi ‘leggeri’. Molte riprese, infatti, sono state girate con una go-pro o con uno smartphone. Non era possibile, infatti, riprendere in tutti i posti. Ma come ha spiegato bene Marella Bombini, ad un certo punto lo smartphone ha iniziato a rappresentare la verità, la realtà di quello che accadeva veramente. “Ci siamo rese conto che quello che poteva essere un limite è diventato una forza. Per esempio non inquadrare la guardia perché non capivamo cosa stesse dicendo era un modo che poi si è rivelato essere meglio rappresentativo della realtà“.
Mur come muri, Mur come barriere
E guardando Mur c’è qualcosa che emerge ancora, il fatto che non ci sono immagini di corpi straziati, ma ci sono sedie a rotelle vuote, scarpe tra i fili spinati, un guanto disperso nella foresta. E poi volti di bambini che chiedono asilo e donne e uomini che cercano un rifugio. “L’idea era togliere la tragedia dal suo contesto e farla diventare una tragedia per sé” ha spiegato così Kasia Smutniak questa scelta. E alla domanda se avesse avuto paura durante le riprese, la regista risponde: “Ho avuto paura, ma chi se ne frega. Perché la mia paura non può essere messa a confronto con chi sta vivendo quelle paure. Io ho avuto solo paura di dover scegliere“. “Io sono fragile – continua la regista – e ho voluto raccontare questo“.
Con Mur si apre uno sguardo su una prospettiva diversa. Non vi è il focus sui migranti, benché le vicende siano costruite tutte intorno a loro e per loro, ma il focus è su chi vive in quelle zone. Persone che si mettono a rischio per portare un pasto caldo, un paio di scarpe, coperte su zaini che pesano decine di chili, o semplicemente un sorriso. “Volevo raccontare quello che sono io, volevo raccontare l’emozione vera e il dolore vero delle persone come me. Non c’è bisogno di incontrare una donna dell’Iran di oggi per scoprire la sua tragedia. Mur, sono i muri le barriere con gli esseri umani“. Ed questa la riflessione che la regista e autrice ha cercato di ricostruire.
Sinossi del docufilm
Marzo 2022, da pochi giorni la Russia ha invaso l’Ucraina e l’intera Europa si è mobilitata per dare asilo ai rifugiati. Il Paese che si è distinto per tempestività e generosità è stata la Polonia, lo stesso Paese che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati. Kasia Smutniak intraprende un incerto e rischioso viaggio nella zona rossa, quella che impedisce ai volontari di soccorrere i migranti. Cercando di riconciliarsi con il proprio passato, Kasia Smutniak torna a casa con una forte consapevolezza: l’accoglienza non deve fare distinzioni, chiunque sia in pericolo va soccorso, un continente che si definisca democratico non innalza muri.