Gli USA eviteranno il terzo fronte di guerra a Taiwan?
Gli analisti temono la guerra economica fra USA e Cina, ora che gli USA sono occupati su due fronti
Gli USA sono impegnati indirettamente su due fronti di guerra contro la Russia e l’Iran, rispettivamente nella guerra in Ucraina e in Palestina. Con gli esperti che temono il fatto che Washington in questo momento non sarebbe in grado di sostenere un altro fronte.
E lo scontro tra Washington e Pechino, tra blocchi alle esportazioni e costruzioni di nuove potentissime armi nucleari, nonché sempre più numerose esercitazioni aeree aggressive sui cieli di Taiwan. Non lasciano ben sperare. Mentre il mondo è “distratto” dal fragore delle bombe, il conflitto economico e geopolitico fra le due superpotenze continua difatti a cambiare il mondo.
USA: lo stress test su due fronti
L’attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre e la possibilità che l’Iran entri nel conflitto, rappresentano uno stress test senza precedenti per gli Stati Uniti. Il supporto economico e bellico fornito da Washington a Kiev e, adesso, il dispiegamento di una massiccia forza militare in Medio Oriente come misura di deterrenza contro le mosse di milizie come Hezbollah. Complicano non di poco il quadro politico dell’amministrazione Biden. Questo momento storico è forse difatti il più pericoloso dalla fine della Guerra Fredda. Non a caso molti esperti si interrogano oggi: e se la Cina dovesse sfruttare l’opportunità di muovere contro Taiwan? I due conflitti in corso potrebbero fare da precursori ad una terza crisi nel Mar Cinese Meridionale. E fornire a Xi Jinping un assist per approfittare dell’impegno di Washington su più fronti.
La varie crisi globali in questo momento favoriscono Russia, Iran e Cina. Manifestando la debolezza dell’azione di deterrenza USA, che non basta più oggi per acquietare le zone più calde del globo. Che via via stanno diventando sempre più numerose, lasciandoci un impressione di vero e proprio caos politico. Washington avrebbe voluto notoriamente concentrare le proprie risorse e il proprio focus esclusivamente sull’Indopacifico, ma l’Ucraina e il Medio Oriente hanno complicato la situazione. Se gli Stati Uniti difatti non fossero in grado di aiutare oggi i due suoi alleati a difendersi, il resto del mondo penserebbe allora che i suoi avversari avevano ragione sul declino dell’America. Un declino che andrebbe immediatamente a favore dell’ormai consolidata ascesa economica e militare di Pechino.
Scontro USA-Cina: Pechino avanza al livello militare ma peggiorano gli indici economici
Nel suo annuale China Military Power Report difatti, pubblicato lo scorso 19 ottobre, il dipartimento della Difesa USA ha stimato che la Cina sia in possesso di oltre 500 armi nucleari e che ne avrà circa 1.000 entro il 2030. Ma ci sarebbe un’arma in particolare a preoccupare Washington: il missile balistico intercontinentale nucleare di Pechino DF-5C. Secondo quello che scrive il The Eurasian Times, questi sistemi sarebbero in grado di minacciare lanci verso gli Stati Uniti continentali, le Hawaii e l’Alaska. La Cina sta implementando dunque la sua capacità di lancio di armi nucleari dalla terra, dall’aria e dai sottomarini. E questo non può non allarmare in vista delle pressioni di Pechino sull’isola di Taiwan. Dove l’esercito cinese ha intensificato da tempo le sue azioni aggressive.
Le conseguenze della guerra economica inoltre fra i due giganti non accennano a fermarsi ma anzi, continuano a produrre effetti sempre più impattanti. Per la prima volta dal 1998 i deflussi trimestrali di Investimenti Diretti Esteri (FDI) in Cina hanno superato gli afflussi. Contraendosi per la precisione di 11,8 miliardi di dollari. La guerra dei chip insomma inizia a farsi sentire. Negli investimenti esteri dei microchip, secondo la società di ricerche Rhodium Group, la quota della Cina si è già ridotta dal 48% nel 2018, all’1% nel 2022. Al contrario, la quota USA è salita da zero al 37%. Mentre il combinato di India, Singapore e Malesia è cresciuto dal 10% al 38%. Gli USA stanno cercando di isolare la Cina e di ridurla da superpotenza globale a potenza regionale. Allontanandola dai propri alleati occidentali e dirottando gli investimenti verso altre tigri asiatiche: come l’India.
La risposta di Pechino a Washington e Bruxelles: blocco all’esportazione di grafite
Pechino, dal canto suo sta accelerando gli sforzi per costruire la propria catena di fornitura di microchip, ma l’approvvigionamento di attrezzature e componenti necessari dall’estero è stato lento. Ed ora il rallentamento del ritmo dell’innovazione tecnologica e della crescita della produttività potrebbe esercitare una pressione al ribasso sulla crescita economica cinese. Precipitata nel frattempo in una crisi del settore immobiliare che le sta costando parecchi soldi pubblici e una forte instabilità sui mercati finanziari. Ma il Dragone non starà certamente fermo dinnanzi ai movimenti di Washington. E come primo contrattacco sta già riducendo le esportazioni di un importante minerale come la grafite: il principale ingrediente degli anodi delle batterie per auto elettriche. La stretta scatterà il 1° dicembre di quest’anno. In questo contesto gli analisti si interrogano se lo sforzo degli USA di indebolire Pechino basterà ad evitare lo scoppio del terzo fronte di guerra: a Taiwan.