Livia De Paolis: “Ogni donna ha il suo sogno e il suo fantasma”
L'attrice e regista racconta il suo film "Peter, Wendy e le ragazze perdute" approdato in Italia in esclusiva a VelvetMAG
“Tutto ciò di cui hai bisogno è fede, fiducia e polvere di fata“. Questa celebre citazione ci porta dritti nel mondo di Peter Pan e ad incontrare Livia De Paolis. Per parlare del film Peter, Wendy e le ragazze perdute, di cui è interprete e regista. Sbarcato finalmente in Italia ad un anno di distanza dalla sua uscita.
Un film che parla di donne, sogni, magia; un film di formazione che dopo l’uscita nel Regno Unito e negli Stati Uniti grazie a Draka Distribution è ora disponibile anche in Italia on demand su diverse piattaforme CGtv.it, Apple Tv, Prime Video, Google Play e prossimamente su Chili. Deus (o forse sarebbe più consono Dea, il perché lo capirete in fondo all’intervista, n.d.r.) ex machina di Peter, Wendy e le ragazze perdute (titolo originale The Lost girl) è l’attrice e regista Livia De Paolis. Con un cast british come ulteriore omaggio alla favola-mito di J. M. Barrie, composto da Julian Ovenden, Parker Sawyers, Louis Partridge, Emily Carey, Ella Rae Smith e con Vanessa Redgrave, Iain Glen e Joely Richardson.
Livia de Paolis parte dal romanzo omonimo The Lost girls di Anne Laurie Fox per raccontare la storia di quattro generazioni di donne a partire dalla originaria Wendy Darling di Barrie e dal suo Peter Pan. E del loro tentativo, più o meno riuscito, di liberarsi proprio di Peter Pan – fisicamente o anche solo come archetipo – infrangendo la celebre promessa che conclude il romanzo novecentesco: non crescere mai.
Queste ragazze perdute nella loro moderna Isola Che Non C’è sono le vere protagoniste: co e contro proprio Peter, così come le altre figure maschili della pellicola. Con il loro correlato di sogni, fenomeni allucinatori, nel viaggio della protagonista che si riconcilia con la madre, la figlia e il proprio difficile trascorso. Conservando comunque il sogno, perché resta ferma nel convincimento che “nel momento in cui dubiti di poter volare, perdi per sempre la facoltà di farlo” (cit. Barrie, n.d.r.), ma anche proprio il percorso fatto, anche grazie alla compagnia di quei fantasmi che ti aiutano a crescere.
Intervista esclusiva di Livia De Paolis a VelvetMAG
Partiamo dalla notizia principale: l’arrivo anche in Italia del suo film Peter, Wendy e le ragazze perdute
Il film è uscito prima Oltreoceano, America, Canada, nel Regno Unito a giugno del 2022 e poi è stato venduto progressivamente anche altrove. Oggi sono davvero molto contenta che siamo riusciti a distribuirlo anche in Italia, dopo che la pellicola è stata acquisita dal distributore italiano Draka Distribution già tre, quattro mesi dopo l’uscita all’estero di questa che è una produzione inglese. E oggi – doppiato – approda su diverse piattaforme e chissà magari dopo, anche nella tv mainstream.
Come è stato accolto in America e nel Regno Unito? Ci sono state differenze visto l’imprinting così inglese?
Sono stata sorpresa e sono orgogliosa dalla buona accoglienza ricevuta in Gran Bretagna, con diverse recensioni positive da parte della stampa cinematografica, che mi ha fatto molto piacere: BBC, Pick of the Week, Times Radio. Anche forse per il cast inglese. Peter Pan è un loro “mito letterario”, come il nostro Pinocchio. Un “tesoro nazionale” di cui vanno orgogliosi e forse hanno gradito gli spunti di questa particolare visione. Si basa però su di un romanzo americano.
E’ singolare vedere Peter Pan nel ruolo di antagonista. Mentre le vere protagoniste sono le donne. Perché questa scelta?
Questo è un film sulle donne. Lo spirito è quello del romanzo, dove le “ragazze perdute” sono al centro e Peter Pan è appunto l’antagonista, a più livelli. Come esplode il racconto: Peter è il potere dell’immaginazione, il volo, il fantastico, il sogno, da una parte; e dall’altra la rappresentazione plastica di come spesso le donne anche a causa dei Peter nelle loro vite non crescano o perdano spesso presto proprio la capacità immaginifica. O l’abbandonano. Perché in fondo la Wendy di Barrie segue Peter per “fargli da madre, cucinare, pulire e attaccare i bottoni”.
Come nasce l’idea del film? Quale è stata la “miccia” inziale?
La miccia inziale è stato il romanzo della Fox, ma sia Peter Pan di Barrie che Alice nel Paese delle Meraviglie di Carrol sono i miei due pilastri letterari inglesi preferiti e ho letto per questo The lost girls. In fondo era predisposta a conoscere il seguito di un’opera che amo. Mi ha colpito così profondamente quando l’ho letto nel lontano 2003, quando ancora non pensavo nemmeno lontanamente a fare la regista. Ero un’attrice di teatro, anche integralista (ride, n.d.r.), almeno fino alla crisi economica del 2008. Forse potevo pensare ad un ruolo da produttrice, crescendo.
E invece cosa è accaduto nel 2008?
Con un’amica ho scritto una “cosa”. Che è diventato il mio primo film Emoticon 🙂 con un micro budget, ma che alla fine sono riuscita a dirigere e far produrre. E’ stato in fondo un passaggio naturale, un accostarsi di ruoli e attività che sono arrivati con l’esperienza nel mondo dello spettacolo.
E adesso cosa bolle in pentola?
Ho scritto una sceneggiatura che è sempre l’adattamento di un libro The last to see me . E’ una storia di fantasmi, una favola gotica, centrata sulla storia della presenza di una ragazza di 18 anni morta un secolo fa e del suo impatto nella contemportaneità. Quindi con continui salti temporali. Ora terminato lo sciopero spero si superino le difficoltà che il settore ha attraversato. E’ sempre un film al femminile, che risponde alle mie esigenze di raccontare le donne, se necessario anche in senso politico.
Torniamo a queste donne, da Wendy a Berry: Livia De Paolis è…
Si parte dalla Wendy originaria, interpretata da Vanessa Redgrave, cresciuta, ma che ancora aspetta il ritorno di Peter. Il film inizia con un colloquio tra la nonna e la nipote Wendy jr da piccola – il mio ruolo è questo personaggio da adulto – che le annuncia l’arrivo di questo ragazzo. Lui arriverà, la porterà lontano e la farà volare. Una specie di maledizione quindi, un’incantesimo che passa tra le donne della famiglia: nonna, nipote e figlia di quest’ultima, mentre mia madre nella storia è scomparsa misteriosamente dopo il parto.
Una delle quattro: una donna è dunque presente, ma mancante. Una donna che abbandona
Esatto così come Peter nel romanzo di Barrie è stato abbandonato a Kensigton Gardens. E da qui la condivisione anche del trauma. E a cascata il bisogno del sogno per superarlo.
Passiamo all’iper fantasia che avvolge il tuo racconto di queste ragazze perdute
Ero in fase di post produzione del film quando ho letto sul New York Times di questo studio sull’iper fantasia che è una forma allucinatoria, vividissima, che ti influenza come un avvenimento reale. Che produciamo noi stessi, ma non sono considerati come episodi psicotici. L’immaginazione penetra nella parte del cervello che inconsciamente trasforma anche le tue azioni, perché l’immaginato prenda la forma e provi a diventare un progetto. Un sogno che si auto avvera.
Possiamo dire che è anche un film sull’amore: quello che le figure maschili portano nella vita delle protagoniste?
L’amore di Peter è fortemente adolescenziale e permeato del senso di abbandono che è innato nel personaggio originale e anche qui. Adam è l’amore più semplice, duraturo, maturo, che sembra non capirla fino in fondo e la sopporta nel suo lato non particolarmente empatico. Ma che nonostante tutto la sostiene. Una sorta di escape strategy e via verso il futuro di Wendy. Lui è il padre della piccola Berry. Poi c’è il padre di Wendy, che ha cresciuto la figlia da sola in una relazione molto stretta con la figlia; ma non è un personaggio totalmente negativo. Conserva come tutti i personaggi del film una certa ambiguità, ma non è il cattivo vero. Che è invece Capitan Hook, il predatore, sempre affascinante, sempre risoluto.
Quattro donne e quattro uomini: quindi possiamo dire che ogni donna ha il suo fantasma maschile e il suo sogno?
Sì per certi versi, possiamo dire che questi uomini si comportino come fantasmi che non le abbandonano, perché portano in fondo anche il potere dell’immaginazione, del sogno.
Perché da regista Livia De Paolis sceglie un film di formazione?
In fondo il film racconta la storia della mia Wendy, la formazione da bambina, adolescente, adulta, madre. Tenta con successo di gestire la transizione tra Infanzia ed Età Adulta fino al confronto con la figlia Berry, un’adolescente ribelle, contraria alla favola, che però fa anche lei il suo percorso, come per tutti orribile e meraviglioso.
Il film scioglie la domanda finale di realtà sul mondo onirico?
No in realtà il finale non è stato pensare per chiarire questo aspetto. E’ vero che i sogni ricorrenti – come li definiva Jung – definiscono la memoria che si fonde alla realtà, la crea, a volte la condiziona, altre volte si trasformano in incubi nevrosi, fantasmi, appunto. Un intreccio difficile da districare.
Ultima curiosità: qual è l’isola che non c’è per Livia de Paolis?
Il mio lavoro creativo, la scrittura, soprattutto ora, che lo faccio pensando, scrivendo, come fosse un sogno creativo tale, bellissimo che bisogna stare attenti a che non sconfini fagocitando anche parti importanti della vita.